Metaverso, ultimo stadio

 DI GIUSEPPE FARINA 

                                       


Foto da postare, amicizie da condividere, collegamenti da ampliare, nuovi social da scaricare, così da testare quali opportunità offrano, e sperimentare passatempi inediti cui non avevamo neppure lontanamente pensato; e poi ancora, storie da raccontare o da vedere, stati da aggiornare e via inesauribilmente di questo passo fino a smarrire il cervello nei meandri dei social media: chi di noi non ha dedicato o magari ancora dedica ampi spazi della propria giornata trastullandosi con i sollazzi da essi puntualmente proposti sui nostri cellulari o sul computer di casa? Lo scrivente ha già da tempo drasticamente ridotto l’impiego delle proprie ore di libertà immerse nel turbinio delle frenetiche compulsioni imposte dall’attività social optando per il recupero di più sane abitudini (malgrado periodicamente sulla mail riceva l’inesorabile messaggio a rendere di pubblico dominio fatti prevalentemente privati), così da seguire una scelta già compiuta da una platea sempre più numerosa di persone che antepongono il contatto reale alla finzione telematica; tuttavia, nonostante gli orientamenti personali di ciascuno di noi i Social Media rimangono un formidabile strumento di intrattenimento e soprattutto di controllo e sorveglianza di massa sulla popolazione occidentale e non solo. 

Eppure l’avvio di questa nuova esperienza era stato di tutt’altro tenore: mossi dalla curiosità di rivedere i vecchi compagni di scuola, rosi dalla bramosia di gettare uno sguardo sulle foto dell’ex fidanzata con cui si usciva in gioventù, sopraffatti dall’impulso di esibire la bellezza della prole familiare o di esprimere il proprio anelito di libertà nell’espressione dell’idea politica, le fasce anagraficamente più recenti - ma non soltanto quelle - si gettarono lancia in resta nella nuova proposta dei social media, così da trascinare gradualmente anche gli altri componenti del nucleo familiare nell’esplorazione di questo universo ignoto alla gran parte della popolazione: gli esordi furono carichi di entusiasmo, laddove ci si rese conto di come non si trattasse soltanto di un riallaccio di antiche amicizie, ma più nel concreto del conferimento della prerogativa a ciascun individuo di sottrarsi alla tirannia della televisione generalista repentinamente derubricata al rango di elettrodomestico che d’improvviso denunciava un’inopinata obsolescenza derivante dal flusso unidirezionale del messaggio proveniente dal tubo catodico e dai suoi discendenti al led; ogni individuo, con i social media, poteva creare un contenuto, esprimere una latente vocazione artistica repressa negli anni e addirittura per i più intraprendenti costruire un’impresa nell’accezione antesignana della categoria attuale degli influencer. 

Ben presto però non pochi si accorsero che la concessione di queste insondate opportunità comportavano un costo non trascurabile, almeno per coloro che attribuiscono un valore elevato alla propria libertà, ossia la progressiva erosione della privacy, sebbene in un primo momento la maggior parte delle persone non soltanto non tenesse in debito conto il prezzo intrinseco alla condivisione telematica della propria vita, ma emergesse anche una tendenza collettiva ad un deprecabile conformismo e ad un esibizionismo degli aspetti più privati delle nostre esistenze unitamente ad un malcelato voyeurismo; ma si trattava soltanto dell’inizio. La convinzione che la parziale rinuncia alla propria privacy fosse uno scotto doloroso ma inevitabile da pagare in cambio del ricorso a strumenti innovativi che concedevano opportunità in passato del tutto inedite prescindeva dalla consapevolezza del percorso storico compiuto dall’Occidente nel mezzo secolo precedente, allorquando l’opinione pubblica aveva assistito ad una metamorfosi sociologica inaudita grazie al mutamento della temperie culturale insufflata già all’epoca da televisioni e giornali: si trattava in breve dell’esercizio tipico del soft power che aveva condotto allo sradicamento di quel tessuto sociale depositario della tradizione popolare quale più grande risorsa della società, specialmente in Europa. Quello che non si comprese immediatamente fu che l’avvento dei social media si andava ad innestare nel solco di un progetto ben più ampio, organico all’arrivo nelle nostre case di Netflix e canali a pagamento della stessa risma fondativi di una nuova constituency completamente immersa nella dimensione del politically correct; e mentre tv e giornali entravano in crisi, dato che con internet finiva fragorosamente l’epoca del cosiddetto terzismo, vale a dire l’apparente neutralità del giornalismo mainstream laddove la platea poteva ora esprimere il proprio giudizio su confronti politici e non solo, i lockdown imposti con il COVID-19 davano la stura al perseguimento di quegli obiettivi rimasti fino ad allora soltanto in nuce: in nome della lotta alle fake news, i padroni del vapore hanno gettato la maschera, così, da un lato, da attuare una feroce censura nei confronti di ogni forma di dissenso e anche di qualunque voce stonata dal coro dell’informazione, dall’altro, da calare una cortina fumogena a camuffare i veri disegni dei governanti. 

Tuttavia, malgrado il terrore sparso a piene mani durante l’emergenza sanitaria, la narrazione ufficiale voluta dal potere non poteva reggere a lungo e in effetti le conseguenze non hanno tardato a dispiegarsi, laddove si tenga conto di come, nel corso del 2020, anno segnato dalle maggiori restrizioni causate dal COVID e quindi con la necessità di trascorrere lunghi periodi rinchiusi nei propri appartamenti, oltre un milione e mezzo di persone abbiano letteralmente dismesso l’uso del televisore (fra quest’ultimi si può annoverare anche chi scrive non avendo più l’apparecchio in casa); la caduta verticale della credibilità degli organi di informazione tradizionali non poteva non investire, seppur in modo graduale, anche il mondo dei social media, nel susseguirsi di notizie oscillanti tra il ridicolo e l’inquietante: Facebook negli ultimi due anni sconta un crescente sottoutilizzo da parte dell’utenza e in maniera particolare quella più giovane ed economicamente più profittevole, mentre Tik Tok introduce nei propri termini d’uso una clausola che concede all’azienda cinese di impiegare un software concepito allo scopo di conservare le caratteristiche fisionomiche rilevabili nei video postati. 

La presa di consapevolezza di questa crisi di credibilità inficia la validità di ogni prospettiva di proseguire nella realizzazione di una nuova scala valoriale alla quale informare le generazioni future in un mondo non più legato a quella concezione dell’umanità che ha da sempre fondato la società civile; di qui la scelta recentemente compiuta proprio da Facebook dell’annuncio della virata in direzione del Metaverso: chiedete che cos’è il Metaverso? In realtà con esattezza non lo sa nessuno, dal momento che il progetto rimane ancora  largamente avvolto nel mistero e sono trapelate soltanto indiscrezioni alquanto frammentate. Taluni hanno parlato di un ampliamento di quanto già osservato con Second life con un coinvolgimento assicurato dall’utilizzo di nuovi occhiali dalle potenzialità sconosciute, talaltri suggeriscono previsioni ancor più stupefacenti ma è difficile azzardare ipotesi in un quadro tutt’altro che delineato; tuttavia, alcune considerazioni si possono avanzare già adesso: in primo luogo, il Metaverso serve a promuovere un congruo rilancio della costruzione del suddetto sistema valoriale senza il quale deve prescindere l’esistenza di quell’individuo plasmabile dal Demiurgo immanente su ciascuno di noi e quindi perfettamente funzionale alla produzione nel contesto lavorativo del futuro; in secondo luogo, riemerge con prepotenza la mai sopita questione della privacy, laddove con il solo preannuncio del progetto è già possibile intravedere il tangibile pericolo di una ancor più efficace e pervasiva profilazione di massa con la possibilità sottaciuta di carpire non soltanto le informazioni personali, ma persino le intenzioni e forse i desideri più reconditi nell’animo umano. Infine, è necessario un accenno all’aspetto finanziario: è infatti molto difficile prevedere quanto concrete siano le prospettive di successo, ma qualora le cose dovessero prendere la piega gradita a Facebook ci sarà un momento in cui lo capiremo senza adito a dubbio alcuno; ossia quando si muoveranno i giganti della finanza internazionale, gli hedge funds con Blackrock, Vanguarde e State Streets in prima fila. E se questo dovesse accadere non sarà un bel momento per la libertà collettiva. 

Commenti

  1. Articolata dissertazione sul
    nuovo Social a partire dal suo futuribile nome METAfisico uniVERS, da cui trapela l'esasperata ricerca della virtualita' più' assoluta su tutto il reale possibile (o impossibile), con la paventata prospettiva di pericolose derive dalla trasparente riservatezza all'espropriazione materiale di tutti i dati di interesse personale nell'ottica, questa
    si' molto chiara, del raggiungimento della limitazione delle liberta' collettive...

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