Perché la Cop26 non restituirà centralità agli USA
DI GIUSEPPE FARINA
Lungotevere dorme mentre il fiume cammina . . .” Lo stornello di questa vecchia canzone mulinava alcune sere fa nella mente di chi scrive, incastrato alla guida della propria automobile esattamente sull’arteria romana che costeggia il principale corso d’acqua della Capitale; imprigionato tra il rivolo naturale del Tevere e quello artificiale del metallo automobilistico, mi trovavo ad osservare una coincidenza alquanto curiosa: ad una ventina di metri dalla vettura di cui ero al volante, due bus panoramici - di quelli a due piani che scarrozzano i turisti in giro per Roma - procedevano affiancati l’un l’altro e si stagliavano nitidamente nel traffico tentacolare soprattutto perché nella parte posteriore di questi veicoli campeggiavano due giganteschi post pubblicitari. Il primo faceva riferimento all’imminente svolgimento del G20 a Roma e parlava di salvezza dell’ambiente, il secondo era invece la pubblicità di una nota marca automobilistica e parlava della salvezza dell’ambiente; in quella situazione, angosciato dal turbinio del traffico, sopraffatto dal desiderio di una rapida fuga da quel serpentone di clacson, nella testa dello scrivente montava la confusione indotta peraltro anche dallo strampalato abbinamento del duplice messaggio pubblicitario: dovevamo salvare l’ambiente? L’automobile pubblicizzata avrebbe salvato l’ecologia? Il G20 si era messo a vendere automobili? Nelle ore successive, una volta rimesso ordine nell’affabulazione di pensieri addensati nella mente, nuovi dubbi si affastellavano e ancor di più nei giorni a venire, a seguito dell’evoluzione dello stesso G20 e del correlato Cop26 laddove i resoconti di quanto stava avvenendo contrastavano la personale contezza della situazione politico-economica internazionale della quale sarà opportuno fare un rapido riepilogo: in primo luogo, occorre menzionare il rovesciamento dei rapporti di forza fra Paesi produttori e Paesi consumatori con in primis la Cina quale attuale fabbrica del mondo che, dopo l’esaurimento dell’emergenza sanitaria entro i propri confini nazionali, ha imposto politiche tipiche di price-making costringendo le Nazioni importatrici, a partire da quelle occidentali, a sottostare ad un brusco rialzo dei prezzi al consumo per il momento soltanto parzialmente scontati sul prodotto finale dalle famiglie ( argomento peraltro già trattato in precedenza su questo blog); in secondo luogo, bisogna tenere in debito conto le dinamiche inflattive che ormai investono, seppure con modalità ed effetti diversi, le economie di tutti gli Stati: quest’ultime scaturiscono anzitutto dai massicci acquisti di futures relativi sia alle fonti di energia, sia alle risorse agricole che hanno condotto ad un’impennata dei prezzi come non si osservava a livello mondiale dalla metà degli anni Ottanta e addirittura ad una scarsità di cereali foriera di possibili difficoltà nell'approvvigionamento alimentare al pubblico. Poi ci sono state le strozzature nei colli di bottiglia della logistica internazionale che ha causato rallentamenti dell’import-export in ogni Paese su scala globale, nè si può tralasciare il combinato disposto della politica monetaria della Fed unita ai provvedimenti ultra-espansivi degli USA volti a concedere sussidi ad ogni famiglia americana, tanto da assistere a problemi di scarsità di manodopera negli Stati Uniti, assieme all’acquisto di debiti deteriorati, mutui inesigibili e cartolarizzazioni di ogni genere. Ultimo, ma non da meno, è giunto il Green new deal, ossia l’adozione di politiche sostanzialmente fondate sul taglio drastico di tutti gli investimenti necessari all’estrazione e produzione di gas e petrolio da nuovi giacimenti, circostanza quest’ultima che a sua volta ha immediatamente favorito una netta risalita dell’inflazione di fatto relativamente ad ogni voce del paniere dei prezzi.
Nel tourbillon testè descritto di situazioni politico-economiche che vanno a sovrapporsi, si inserisce la Cop26 quale tentativo, principalmente delle Potenze occidentali, di governare un quadro che si presenta sempre più complesso ed anarchico: tale conferenza rappresenta una velleitaria richiesta a tutti gli Stati non appartenenti al Washington Consensus di rinunciare ai programmi di sviluppo delle proprie economie e di sottomettere questi esecutivi alla supremazia dell’Occidente in una reiterata rivendicazione della sua centralità a livello planetario; in particolare, la Cop26 spaccia l’abusato concetto di superiorità morale di coloro che si riconoscono nello schema proposto tramite il Green New deal e reclama un sostanziale suicidio di buona parte del mondo in cambio praticamente di nulla. In definitiva, un vero e proprio delirio che infatti è stato rigettato al mittente, talora ab orto come osservato dall’immediato rifiuto di Cina e Russia, talvolta nel corso dei lavori della Cop26 come avvenuto per i Paesi arabi e le Nazioni africane, protagoniste quest’ultime di un pesante j’accuse all’indirizzo degli Stati più ricchi colpevoli di non aver mantenuto le promesse di congrui aiuti finanziari fatte più di dieci anni fa.
D’altro canto, mentre in Russia Vladimir Putin ha tenuto banco con un intervento fiume di oltre tre ore al Valdai Discussion Club in cui si è tolto lo sfizio di bastonare la cancel culture e il Ministro degli Esteri russo Lavrov partecipava in presenza alla 105^ Conferenza dei Paesi non Allineati recandosi a Belgrado, in queste ore si concludono i lavori della Cop26 che persegue il proprio duplice obiettivo (quello dichiarato di eliminazione dei gas serra e quello non dichiarato di ripristino della supremazia occidentale) partorendo come unica fattiva soluzione il ritorno in auge del nucleare, soprattutto con il ricorso alla tecnologia dei reattori modulari che si possono realizzare in un arco temporale di tre o quattro anni: questa prospettiva, nonostante la catastrofe che il nucleare ha rappresentato per l’umanità, avrebbe il merito, da un lato, di mettere economicamente fuori gioco la Cina, laddove le sue merci risultassero il portato di un consumo eccessivo di Co2, dall’altro, di promuovere un drastico ridimensionamento della Russia che dovrebbe prescindere dall’utilizzo della sua migliore arma geopolitica, vale a dire la distribuzione delle proprie fonti di energia all’estero, cosa questa che renderebbe Mosca anche particolarmente vulnerabile sotto il profilo finanziario; tuttavia, questo calcolo trascura alcuni aspetti fondamentali. Anzitutto, la Cina ha già da tempo capito da che parte le élite volessero andare a parare e si è ampiamente premunita con la stipulazione del RCEP (Regional Comprehensive Economic Programme) al quale peraltro ha aderito la stessa Russia; ma soprattutto la costruzione di reattori nucleari modulari non tiene in alcun conto la realtà dei mercati internazionali: questi reattori possono essere infatti alimentati o con l’uranio - ma tali giacimenti sono in rapido esaurimento in tutto il mondo - o con il trizio che però costituisce una fonte di energia notevolmente costosa e che dunque finirebbe col riproporre il medesimo problema attualmente osservato con il gas naturale, ossia quello di un prezzo elevato che fa crollare la precaria impalcatura di un’economia finanziarizzata che per stare in piedi necessita di tassi d’interesse permanentemente bassi; non c’è una soluzione semplice alla fine di questo rompicapo e i governanti occidentali dovranno scendere a nuovi compromessi se non vorranno essere definitivamente estromessi dalla partita globale.

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