Regime change a Mosca o dell’utopia occidentale

 DI GIUSEPPE FARINA 


                                             






La voce, già precedentemente udita in molte occasioni, era assolutamente inconfondibile, per quanto chi scrive abbia dismesso da parecchio tempo l’abitudine a seguire programmi televisivi; tuttavia, laddove ci si trovi in un appartamento diverso da quello di proprietà, puó prevedibilmente capitare di imbattersi nell’obsoleto elettrodomestico che per lunghi decenni ha monopolizzato l’informazione, l’intrattenimento e nel complesso la vita di ciascuno di noi, ovvero, come il lettore avrà già ampiamente intuito, il televisore: e quest’ultimo esercita a tutt’oggi talune prerogative non trascurabili quale anche quella di resuscitare relitti politici e insufflare inesauribile linfa vitale a personaggi caduti nell’oblio dopo aver reiteratamente assunto atteggiamenti tracimanti nella cialtroneria e aver denunciato arroganza repellente nei confronti dei malcapitati interlocutori. Prescindendo da ulteriori indugi, chi scrive deve precisare di star facendo riferimento alla figura sempre più tetra e quasi cubica nella sua apparenza di un noto politologo americano di cui appare superfluo rammentare il nome: nel corso di un’intervista, egli si avventurava in una sequenza di intemerate previsioni che dovrebbero precorrere gli eventi dei prossimi mesi, laddove fra le molte prospettive suggerite all’ennesimo conduttore tv ridotto in versione zerbino, la più caldeggiata, nel pathos che può offrire un ovattato studio immobile come le telecamere sullo sfondo, consisteva nel riepilogo del perché a breve avverrà un congiura di palazzo nei riguardi di Putin che deporrà il tiranno e favorirà l’avvento di un nuovo regime in Russia, finalmente prono ai voleri dell’Occidente e in particolare a quelli degli americani: come sa chiunque segua la politica, e nemmeno necessariamente quella internazionale, si tratta dell’usuale riproposizione del sogno sempre agognato dalle cancellerie occidentali da almeno un quindicennio a questa parte, allorquando l’arrivo della Clinton al Dipartimento di Stato segnó una svolta radicale nell’approccio alla questione russa, già in essere comunque nella precedente Amministrazione; la Clinton, appena insediata nel suo nuovo incarico, chiamò la famiglia reale saudita chiedendo loro di pompare petrolio a tutto spiano onde provocare un tracollo del prezzo del greggio e promuovere un collasso indiretto dell’economia russa. Ben presto, il calcolo si riveló errato soprattutto perché molte famiglie in Russia detengono depositi bancari in valuta estera - principalmente in dollari - e la finanza pubblica del Cremlino non soffrí significative conseguenze con l’unica eccezione di una parziale svalutazione del rublo che favorí speculatori stranieri (all’epoca alcuni personaggi facoltosi fecero acquisti di immobili pregiati a prezzi decisamente convenienti nelle città russe); tuttavia, da quel momento in poi l’opinione pubblica assiste ad un florilegio di ipotesi per le quali, sempre a breve, avverrà un regime change a Mosca. Chi scrive deve ammettere di sorprendersi sempre nel constatare come a distanza di tanti anni dalla caduta del Muro di Berlino i commentatori non soltanto non riescano a comprendere la politica, la società e la mentalità di questo Paese, ma sovente non arrivino neppure a scalfire la superficie che traspare nei resoconti forniti dai vari reportage proposti quasi preconfezionati in coincidenza della stretta attualità del momento; questa considerazione vale, com’è ovvio, anche in relazione alla figura del Presidente russo e giova in proposito ricordare le tappe salienti della sua biografia: oscuro funzionario di stanza nell’ex DDR, a seguito della disgregazione dell’Unione Sovietica torna nella natia San Pietroburgo e diviene uomo di fiducia del Sindaco della città, ma dopo poco tempo trasloca nella Capitale dove è chiamato al vertice dell’amministrazione presidenziale del Cremlino per poi assumere l’incarico di premier e infine completare la propria ascesa politica nel 1999 con uno Eltsin ormai dimissionario. Basterebbe, quindi, questa succinta ricostruzione del cursus honorum di Putin per capire alcune questioni di fondo: nei media occidentali il messaggio propinato si ripete in maniera martellante, ossia il Presidente russo rappresenta un bieco autocrate, per giunta ultimamente divenuto pure pazzo - come tutti coloro che ormai esprimono dissenso su un qualunque argomento, trionfo di un malcelato stalinismo - non dissimile da altri dittatori in giro per il mondo, ma le cose stanno davvero così? Per desumere la risposta basti proporre un confronto con altri regimi autoritari tutti contraddistinti da personaggi che prima di esercitare un potere totalitario erano stati alti ufficiali delle Forze Armate oppure leader di partiti politici che avevano conquistato il governo al termine di regolari processi elettorali; con Putin questo non avviene. Perché? Com’è stato possibile che un uomo che prima di divenire Capo dello Stato della propria Nazione non aveva intrapreso alcun percorso politico e non rappresentava una figura di spicco fra i militari abbia raggiunto il vertice del potere in un Paese come la Russia? In realtà, su questo blog ci siamo già parzialmente soffermati su tale argomento e abbiamo messo in risalto come l’irresistibile ascesa del Presidente russo sia stata possibile perché egli individua un potere carsico, quasi invisibile nelle vicende russe ma chiaramente tangibile negli incroci storici determinanti, vale a dire quello dei siloviki: riguardo costoro, si sanno ben poche cose, ma a dispetto dell’estrema segretezza di questo apparato si può facilmente capire anzitutto la loro capacità di tenere sotto controllo il potere altrimenti smisurato che deterrebbero le oligarchie sempre protese in direzione di decisioni irrazionali e spesso ormai anche disumane o forse sarebbe meglio dire “transumane”; ma la cosa importante è che Putin non è la Russia e la Russia non si esaurisce con Putin. Commette un errore clamoroso chiunque creda, con notevole ingenuità, che sarebbe sufficiente la rimozione del leader russo per promuovere un regime change a Mosca perché Putin è sorretto da un apparato che lo ha collocato al vertice istituzionale giudicandolo, quando ancora era un perfetto sconosciuto, persona idonea a reggere le redini del governo peraltro in un momento storico in cui la Russia versava in una condizione di grande difficoltà: questo stesso apparato che lo ha collocato al potere potrebbe un giorno anche suggerirgli di lasciare spazio ad altre persone, ma l’Occidente non deve indulgere in dimensioni oniriche dato che qualora questo avvenisse non sarebbe certo per favorire l’avvento al potere di un qualche governo sottomesso, ma solo per proseguire l’attività di rinascita nazionale già avviata da Putin nell’ultimo ventennio. Tutto il resto sono fantasie che poco o nulla hanno a che vedere con l’analisi geopolitica. Tuttavia, solo per formulare un’ipotesi di scuola ai fautori della teoria del regime change, chi scrive concede un’unica possibilità di ricambio in un eventuale avvicendamento della leadership moscovita, individuando una sola personalità che nell’attuale establishment russo potrebbe subentrare ad una figura poderosa come quella di Putin, ossia il capo dell’FSD, il servizio segreto erede del KGB guidato da Narinskin , ma si tratterebbe di un’ipotesi - è bene premetterlo fin da subito - con la quale l’Occidente avrebbe ben poco da gioire: l’attuale Presidente russo, checchè ne dicano gli omologati organi di informazione, identifica la figura di un moderato che, seppur guardando dal punto di vista geopolitico ad Est (questa è senz’altro la sua grande eredità perché per la prima volta dai tempi di dell’occidentalizzazione del Paese, la Russia ha capovolto la propria prospettiva politica come attestato dai numerosi riferimenti intellettuali compiuti da Putin nei suoi discorsi ufficiali) ha sempre cercato una forma di convivenza con Americani e soprattutto Europei, mentre Narinskin è unanimemente considerato una figura radicale nell’organizzazione del potere a Mosca e qualora dovesse scalare la gerarchia non sarebbe una bella notizia per la pace nel mondo. 

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