Il collasso della Chiesa Cattolica e le sue ricadute negli assetti internazionali. La Chiesa trionfante di Giovanni Paolo II - (Parte IV)

 


di d'Addio Antonio


Prima di procedere oltre occorre soffermarsi brevemente sullo stato di salute del Cattolicesimo agli albori degli anni Ottanta. La morte di Paolo VI coincise con la fine della fase applicativa dei dettami conciliari e del movimento contestatario dell'ala progressista del clero e dell'episcopato carolingio. Le lacerazioni e i traumi provocati del passaggio dalla “Chiesa tridentina” alla “Chiesa post-conciliare” (si usa questa definizione per comodità di linguaggio) erano evidenti e profondi in ogni parte della Chiesa. Proprio come in ogni fase post-rivoluzionaria, si avvertiva forte l'esigenza di un ritorno all'ordine e alla quiete per riuscire meglio a metabolizzare cambiamenti che avevano intaccato nel profondo la dottrina stessa della fede cattolica. A tre lustri dalla chiusura del Vaticano II quello che mancava, e continuerà a mancare nei decenni avvenire, era un'analisi storicistica dei documenti conciliari e della loro distorta o erronea applicazione. A riprova di quanto il Concilio sia diventato una “verità di fede” inconfutabile per chiunque si professi sacerdote, vescovo o semplice fedele cattolico è l'alone celebrativo e la retorica apologetica che allora come adesso continua a investirlo. La figura di Giovanni Paolo II andava incontro al bisogno di un necessario, seppur “moderato”, cambio di rotta. L'ex arcivescovo di Cracovia rappresentava un Paese dove la fede continuava a essere elemento identitario fortissimo e parte essenziale nella vita del popolo; cosa ancora più importante era l'avversario di un regime comunista totalmente asservito ai voleri dell'URSS, trasposizione di quella Russia ortodossa che aveva cercato di annientare l'identità culturale e religiosa polacca. Proprio come ai tempi del dominio russo-prussiano, quando il Cattolicesimo divenne la bandiera intorno cui raccogliere e salvare l'identità nazionale, la Chiesa Cattolica era stata di nuovo chiamata a difendere la Polonia da una minaccia esterna, questa volta rappresentata dall'ateismo sovietico. Il clero polacco, lontano anni luce dal modernismo dei Tedeschi, dagli intrighi di potere degli Italiani e dall'ossessione rivoluzionario-marxista dei latinoamericani, conservava un'immagine positiva e idealizzata di Roma, ancora cui aggrapparsi per resistere al giogo sovietico. L'elezione del primo papa slavo e per giunta proveniente un Paese del blocco orientale, rilanciava l'immagine e il ruolo internazionale della Chiesa, inaugurando una tregua, durata per tutti gli anni Ottanta, con quei settori egemonici della cultura, dell'economia e della politica occidentale che contestavano apertamente la Chiesa come istituzione e lo stesso Cristianesimo come fondamento della civiltà europea e occidentale. Per tutti gli anni Ottanta la Chiesa, identificata più che mai nella persona del Papa, beneficiò di un amplissimo sostegno mediatico e politico garantito dagli USA in funzione anticomunista sebbene fosse investita da diversi scandali, su tutti quello dello IOR che aveva avuto un ruolo importante nel fallimento del Banco Ambrosiano. Alla guida dell'Istituto per le Opere di Religione vi era il discusso arcivescovo statunitense Paul C. Marcinkus già coinvolto nello scandalo Pecorelli del 1976 allorchè la rivista OP (Osservatore Politico) del giornalista Carmine Pecorelli (ucciso nel 1979) pubblicò una lista di massoni che conteneva i nomi di numerose personalità di primissimo della Curia romana e del mondo ecclesiastico tra cui i cardinali Sebastiano Baggio, Agostino Casaroli, Franz König (arcivescovo di Vienna e tra i principali promotori delle innovazioni conciliari), Achille Liénart (già arcivescovo di Lilla), Salvatore Pappalardo, Michele Pellegrino (arcivescovo di Torino), Ugo Poletti, Léon-Joseph Suenens (arcivescovo-metropolita di Malines-Bruxelles, noto per aver descritto il Concilio Vaticano II come l'equivalente della “Rivoluzione Francese nella Chiesa Cattolica”), Avelar Brandào Vilela (arcivescovo di San Salvador di Bahia), Jean Villot, oltre a molti atri arcivescovi e vescovi tra cui quell'Annibale Bugnini che, in qualità di segretario della Commissione per la Riforma Liturgica, ne fu l'ideatore e promotore su ispirazione della stessa massoneria. Scoperta la sua affiliazione massonica, un furente Paolo VI (anch'egli in odore di massoneria) decise di rimuovere Bugnini dai suoi incarichi curiali e di allontanarlo da Roma nominandolo Pro-Nunzio Apostolico in Iran. Ad accrescere i sospetti su una figura ambigua e melliflua, che non meriterebbe particolare interesse se non fosse per i danni arrecati al Cattolicesimo, concorre la sua improvvisa morte avvenuta il 3 luglio 1982 nel letto di una clinica romana dopo essere stato operato per una banale ernia. A contenere (temporaneamente) la portata dello scandalo contribuì il fatto che attraverso la banca vaticana passava il denaro necessario per combattere il nemico sovietico e garantire la sopravvivenza stessa della Chiesa in Europa Orientale, denaro che molto probabilmente doveva giungere da attività illecite gestite da organizzazioni mafiose e servizi segreti occidentali. In questa collaborazione con potenze alleate basate sul do ut des lo IOR riceveva finanziamenti in cambio di una sua collaborazione a riciclare denaro di dubbia provenienza. 

La Chiesa Cattolica veniva acclamata e accettata dai mass media e dalla politica per il soccorso offerto ai diseredati e agli emarginati e per il suo impegno per la pace e la giustizia sociale non certo per la sua azione evangelizzatrice e missionaria e per il suo rigorismo morale che contrastava con la rivoluzione dei costumi scaturita negli anni Sessanta ma che proprio negli anni Ottanta vide una certa battuta d'arresto almeno nei suoi aspetti più esteriori. Personalità come Madre Teresa di Calcutta, fondatrice della congregazione religiosa delle Missionarie della carità e premio Nobel per la Pace (1979), o l'Abbé Pierre, fondatore nel 1949 dei Compagnons d’Emmaüs, organizzazione nata per assistere poveri e rifugiati, erano modelli di una Chiesa che veniva accettata e rispettata solo se rivolta all'impegno sociale e silente sui temi etici e morali posti dalla rivoluzione sessantottina e dagli sviluppi della tecnica. Allo stesso modo mentre di Madre Teresa di Calcutta si tendeva a sminuirne la fortissima carica spirituale e missionaria alla base della sua azione caritatevole, dell'Abbé Pierre si tendeva a enfatizzare le sue posizioni critiche nei riguardi della Chiesa e del Vaticano e le sue posizioni progressiste in materia di sacerdozio, dichiarandosi favorevole alla possibilità di ordinare sacerdoti donne e uomini sposati anche per poter sopperire al calo di vocazioni in Europa Occidentale e nel Nord America. Anticipando posizioni oggi egemoni nel clero ed episcopato carolingio, sostenne il diritto degli omosessuali ad allevare figli e attaccò la Chiesa in materia di contraccezione. L'atteggiamento ribelle di un religioso notissimo all'opinione pubblica sia francese che internazionale erano utilizzate ad arte per attaccare e mettere in discussione la morale cattolica su quei temi lasciati in eredità dal Sessantotto: rifiuto dell'autorità, femminismo, sessualità. 

Lo stato del Cattolicesimo all'avvento di Giovanni Paolo II era disastroso e i danni causati dal Pontificato ambiguo e incerto di Paolo VI erano irreversibili. La panoramica che emerge agli albori degli anni Ottanta era sconfortante; i seminari dell'Europa Occidentale e delle Americhe erano vuoti e in balia di insegnanti modernisti e marxisti, con posizioni teologiche prossime all'eresia. I seminaristi ricevevano una preparazione culturale, spirituale e teologica approssimativa e inadeguata, con insegnamenti in contraddizione o non in aperto contrasto con la dottrina cattolica e troppo sbilanciata sulla pastorale. Gli istituti religiosi (sia femminili che maschili) che avevano più stravolto il carisma originario del loro fondatore conoscevano una crisi vocazionale irreversibile. Proprio com'era stato preannunciato dalle poche voci contrarie la modifica della liturgia aveva comportato conseguenze drammatiche per la dottrina in base al principio della lex orandi lex credendi (a legge della preghiera è la legge del credere). Tale crisi aveva un'origine e un mandante nella Compagnia di Gesù. Lo stesso Giovanni Paolo II era consapevole della gravità e della deriva dottrinaria dell'ordine guidato da Pedro Arrupe. Nel 1981 ne ordinò il commissariamento, inviando un delegato pontificio a guidare l'ordine fino all'elezione del nuovo preposito generale. La ragione di tale provvedimento andava ricercata nella teologia promossa nei seminari e nelle università gesuite in palese contrasto con il magistero della Chiesa. A preoccupare il Pontefice non era soltanto l'appoggio incondizionato alla Teologia della liberazione in America Latina, con le grottesche figure di preti-guerriglieri e vescovi marxisti, quanto piuttosto un'esegesi delle Sacre Scritture d'impostazione positivista che storicizzava il racconto biblico e interpretava il mistero dell'annuncio, della venuta e della resurrezione del Salvatore con le stesse categorie della storiografia laica, relegando ai margini, fin quasi ad annullare del tutto, la dimensione soprannaturale della fede. La spinta all'aggiornamento, al cambiamento e a riforme in contraddizione con il depositum fidei, presente in amplissimi strati della Chiesa post-conciliare convinta di doversi mostrare più sensibile e alle nuove richieste della società riprogrammata dai dettami sessantottini trovarono un freno in Giovanni Paolo II conscio di dover arginare una situazione caotica e ingovernabile. A tal proposito il 25 novembre 1981 nominò il cardinale Ratzinger, all'epoca arcivescovo di Monaco e Frisinga, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede (l'ex Sant'Uffizio); il dicastero della Curia romana incaricato di vigilare sulla correttezza della dottrina della Chiesa Cattolica. Ratzinger manterrà tale carica ben oltre i sopraggiunti limiti di età fino alla sua elevazione al soglio pontificio. La scelta del Papa era dettata dalla profonda ammirazione per le straordinarie qualità intellettuali e umane del teologo bavarese. In qualità di accademico, teologo, consulente dell'arcivescovo di Colonia, perito del Concilio e poi arcivescovo di una delle più prestigiose diocesi di Germania, Ratzinger aveva avuto modo di assistere in prima persona ai guasti del post-Concilio, alla distorta interpretazione e applicazione dei documenti ufficiali, alla situazione di degrado dottrinario e liturgico e allo svilimento della disciplina ecclesiastica venutesi a creare in soli tre lustri e di cui la Germania rappresentava la parte più infetta e malata. 

Da prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede cercò di porre un freno all'avanzata dell'agenda modernista. Particolarmente dure furono le sue critiche ai disastri della Teologia della liberazione. Proprio da questa sua azione frenante alle forze disgregatrici nasce quella legenda nera sull'algido e imperturbabile cardinale tedesco che lo accompagnerà come prefetto prima e Pontefice poi; l'accusa, che eludeva di controbattere agli appunti del cardinale, era di essere un religioso medievale, oscurantista e reazionario, fermo su posizioni vetuste non al passo con i tempi. Un “refrain”  che sarà scandito a ritmi parossistici nei suoi otto anni di pontificato. Tale “legenda nera fu alimentata ad arte nei corridoi dei Sacri Palazzi da quel fronte progressista che vedeva in lui un ostacolo ai suoi piani e che già controllava buona parte della Curia romana come la strategica Congregazione dei Vescovi (incaricata di erigere nuove diocesi e provvedere alla selezione e alla nomina dei nuovi vescovi), le università pontificie e gli istituti di studi superiori dove veniva formato il clero proveniente di ogni parte del mondo. Attaccare il prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede divenne un modo per criticare velatamente Giovanni Paolo II poiché l'alone di sacralità che circondava la sua figura non consentiva di farlo apertamente. Si potrebbe affermare che Ratzinger sia la figura più importante nella vita della Chiesa dal Concilio ai giorni nostri per averne vissuto da protagonista i passaggi più importanti.

Fin da subito Giovanni Paolo II concentrò i suoi sforzi nella lotta al comunismo, rompendo quello stato di non belligeranza” che era stato inaugurato dal pontificato di Giovanni XXIII. Fu in terra polacca, dove più forte era l'insofferenza al comunismo e al giogo di Mosca, che l'azione della Chiesa diede i suoi effetti più immediati. Il secondo viaggio apostolico del Pontefice si svolse proprio in Polonia (2 giugno - 10 giugno 1979) in occasione del nono centenario del martirio di San Stanislao di Cracovia. Quel viaggio innescò cambiamenti politici e sociali che nel giro di un anno portarono alla nascita di Solidarność, sindacato d'ispirazione cattolica, messo fuori legge e costretto alla clandestinità dal generale Wojciech W. Jaruzelski autore di un golpe militare per impedire che il Paese fosse invaso dall'Armata Rossa com'era accaduto all'Ungheria nel 1956 e alla Cecoslovacchia nel 1968. Per tutti gli anni Ottanta il sindacato guidato da Lech Wałęsa, il cui obiettivo era la fine del potere politico del Partito Operaio Unificato Polacco, potè contare sul sostegno della Chiesa polacca. Alla base del successo di Solidarność vi fu la capacità di far leva sull'identità cattolica del popolo polacco particolarmente forte nei momenti di sudditanza allo straniero. 

Se la Polonia fu uno dei principali terreni di scontro nella fase finale della Guerra Fredda, non meno importante per la Chiesa fu l'America Latina oppressa da regimi militari e patria di quella Teologia della liberazione che fu sempre una delle sue principali fonti di preoccupazione per la sua radice marxista. La lotta alla Teologia della liberazione fu il secondo fronte di battaglia del Papa ma questa volta si trattava di un nemico particolarmente insidioso e subdolo poiché annidato all'interno della Chiesa stessa. Il primo viaggio apostolico (25 gennaio - 1º febbraio 1979) si svolse proprio in terra latinoamericana. A Puebla, in Messico, Giovanni Paolo II prese parte al terzo Consejo Episcopal Latinoamericano (CELAM) imbevuto di quella Teologia della liberazione che con la sua “opzione preferenziale per i poveri”, era uscita vincente dal secondo CELAM di Medellin del 1968. Nel suo discorso inaugurale si scagliò contro quell'attitudine a Gesù Cristo come una sorta di guerrigliero rivoluzionario e sovversivo. Il messaggio del Papa giunto da un Paese del socialismo reale era oltremodo chiaro; la difesa dei poveri, la lotta contro l'ingiustizia e le diseguaglianze erano doverose e giuste purchè non oscurassero [ ] un’assidua e zelante trasmissione della verità su Gesù Cristo [ ] per usare le parole del Pontefice. Nel discorso pronunciato il 28 gennaio 1979 sembra trasparire un riferimento, seppur indiretto, a quel Patto delle catacombe che aveva dato il via a un rimodellamento dell'episcopato latinoamericano. Gli effetti di questa distorsione del messaggio evangelico stavano già iniziando a manifestarsi. Sul finire degli anni Settanta in tutta l'America Latina iniziavano a comparire quelle Chiese Evangeliche e Pentecostali di matrice nordamericana fino ad allora sconosciute a quella parte delle Americhe quasi interamente devota al vescovo di Roma. Utilizzate da Washington come arma contro il comunismo, indirizzavano la loro opera evangelizzatrice verso gli strati sociali più poveri e svantaggiati oggetto dell'impegno della Teologia della liberazione

Altrettanto forte fu l’attenzione di Giovanni Paolo II verso l’Africa, un continente che da pochi anni aveva conosciuto il processo di decolonizzazione e dove la Chiesa stava portando avanti un impegno evangelizzatore in aperta concorrenza con le altre denominazioni cristiane e con l'Islam. L'obiettivo del Pontefice fu sempre quello di aiutare la Chiesa a mettere salde radici in un continente in fortissima espansione demografica aumentando il numero di vescovi, diocesi e cardinali africani e incoraggiandola a ricercare una sua specificità anche per distinguerla da quella madre europea sempre più timida nella fede e ripiegata su se stessa. 

Negli anni Ottanta in America Latina l'azione diplomatica della Chiesa fu molto intensa, svolgendo un ruolo importante nella fase di passaggio dai regimi militari alla democrazia. Il centro delle attenzioni e dell'opera missionaria di Giovanni Paolo II, tuttavia, rimase sempre l'Europa con un'attenzione particolare alla sua parte occidentale dove il Cristianesimo era sempre più ininfluente, estromesso dalla vita pubblica e ricondotto alla sola sfera personale. La grande attenzione dimostrata dal Papa per la Francia, il Paese più visitato dopo la Polonia, si spiega non solo con la sua personale venerazione per la Madonna (non c’è luogo al mondo in cui la Vergine sia apparsa cosi tante volte come in Francia) ma anche con l'urgenza di soccorrere una Chiesa francese devastata dell’attuazione del Concilio Vaticano II. Il suo carisma personale, capace di attrarre folle oceaniche persino nelle terre neo-pagane d'Europa, fu in grado di celare e in un certo modo di sopperire alla crisi di fede nel Vecchio Continente. Fin dai primi anni Ottanta si manifestava un fenomeno che avrebbe accompagnato i suoi ventisette anni di Pontificato. L'entusiasmo del clero locale, il seguito popolare e l'attenzione mediatica per la visita del Pontefice lasciava il posto, nell'Hexagone come nel resto dell'Europa Occidentale, a chiese vuote e alla disaffezione alla pratica religiosa. 

Una ragione di questa débâcle può essere individuata nell'idea stessa che Giovanni Paolo II aveva del Concilio Vaticano II. Giovanissimo vescovo ausiliare di Cracovia prese parte ai lavori conciliari contribuendo alla stesura della Dignitatis Humanae e della Gaudium et Spes. Dal punto di vista prettamente dottrinario e pastorale quindi fu un fedele attuatore dei dettami del Concilio il che ne impedì di scorgerne i vistosissimi limiti. Sia da arcivescovo che da Papa sua costante preoccupazione fu l’apertura della Chiesa alla dimensione storica dell’incarnazione su questioni dottrinali di fondamentale importanza come l’ecumenismo, il ruolo dei laici, la persona e la dignità umana e il rapporto col mondo moderno. E' alla luce di queste indicazioni conciliari che vanno interpretate due delle più importanti iniziative del Pontefice: la visita al Tempio Maggiore di Roma del 13 aprile del 1986, la prima assoluta di un Papa in una sinagoga, e l'incontro interreligioso di Assisi del 27 ottobre 1986.  Entrambi gli avvenimenti sono il risultato della sensibilità personale del Pontefice e di quei processi innescati dal Vaticano II di cui fu un fedele e diligente esecutore. La visita alla più antica comunità israelitica d'Occidente era scontata per un Papa post-conciliare, per giunta originario di un Paese che fino agli anni Trenta aveva ospitato la più grande comunità ebraica d'Europa completamente devastata dalla tragedia della Shoah a cui aveva voluto rendere omaggio con la visita al campo di concentramento di Auschwitz (1979). Quell'incontro fu anche la conclusione del cammino iniziato venti anni prima con la dichiarazione Nostra Aetate che conteneva un'ampia sezione dedicata agli Ebrei e all'Ebraismo. Nel testo si dichiarava la non responsabilità collettiva del popolo di Israele nella morte di Gesù Cristo e si condannava ogni forma di antisemitismo e di persecuzione. Con la Nostra Aetate la Chiesa Cattolica mutava atteggiamento nei confronti dell'Ebraismo togliendo qualsiasi legittimazione teologica  all'antisemitismo. In questo nuovo rapporto con il popolo e la fede ebraica si potevano riconoscere gli echi di un'altra dichiarazione, la Dignitatis Humanae che sanciva il principio della libertà religiosa come fondamento stesso della dignità dell'essere umano. L'espressione fratelli maggiori”, coniata da Giovanni Paolo II in occasione della visita alla sinagoga romana esprimeva l'affetto suo personale e della Chiesa per un popolo e una fede da cui erano nati il Messia, la Madonna, gli Apostoli, gli Evangelisti e che tanto aveva sofferto per le persecuzioni religiose inflitte dai cristiani. La presa di coscienza degli errori commessi dalla Chiesa nei rapporti con gli Ebrei e l'Ebraismo avveniva a discapito di quella Verità eterna e inconfutabile di cui la Chiesa era custode e che aveva proclamato per quasi due millenni. Quell'espressione di Giovanni Paolo II era rivelatrice degli errori introdotti dal Vaticano II poiché andava a smentire la stessa dottrina cattolica che aveva sempre insegnato che gli Ebrei sono i fratelli più separati dei cristiani e non i loro fratelli maggiori nella fede e che l’Antica Alleanza è stata sostituita dalla Nuova ed Eterna Alleanza e che tutti gli uomini, incluso gli Ebrei, hanno bisogno di Gesù Cristo per redimersi. Questi errori dottrinari si riscontrano nell'altro memorabile evento di quell'anno, l'incontro interreligioso di Assisi dove giunsero i capi e i rappresentanti delle più disparate comunità religiose del pianeta per pregare per la concordia e la pace. La scelta della cittadina umbra era legata al suo essere la casa di San Francesco, tra i santi più amati e venerati della Chiesa Cattolica, fondatore dell'Ordine Francescano che tanto contribuì nel Basso Medioevo al rinnovamento spirituale del Cattolicesimo. Nella Chiesa post-conciliare non vi è figura tanto strumentalizzata e travisata come quella del poverello d'Assisi, diventato un “santo per tutte le stagioni” ideologiche e a secondo dei bisogni ambientalista, ecumenico, pacifista e pauperista. Il suo incontro con il sultano al-Malik al-Kāmil nel giugno 1219, al tempo della Quinta Crociata, non è più raccontato come un tentativo di evangelizzazione ma come uno straordinario gesto di pace e dialogo fra Cristianesimo e Islam, anticipatore di quell'ecumenismo di cui Assisi doveva esserne il centro ideale. In un contesto storico in cui l'ideologia comunista si apprestava a essere archiviata (mancavano solo tre anni dalla caduta del Muro) la Chiesa intravedeva nell'emergere dell'estremismo religioso la nuova minaccia per la pace e la concordia tra i popoli da contrastare con l'ascolto e la comprensione reciproca. Una minaccia che giungeva non solo dall'Islam o da alcune parti del Cristianesimo (l'espansione a macchia d'olio delle sette evangeliche e pentecostali fautrici di un forte rigorismo in materia di fede e morale) ma anche da fedi non abramitiche come nel caso dell'estremismo sikh, assurto agli onori della cronaca nell’ottobre 1984 le guardie del corpo di religione sikh assassinarono il primo ministro indiano Indira Gandhi, colpevole di aver ordinato nel mese di giugno l'assalto al Tempio d'Oro ad Amritsar, il luogo di culto più sacro del Sikhismo. Se le finalità dell'iniziativa erano condivisibili, altrettanto non si poteva dire delle motivazioni teologiche che avevano indotto i vertici della Chiesa a organizzare l'evento. Assisi era il frutto avvelenato del Vaticano II e in particolare della Dignitatis Humanae, da molti considerata il più deleterio di tutti poichè riattualizzava dottrine che erano già state condannate con forza nei secoli passati. Per la dottrina cattolica le altre religioni non possono essere oggetto di un diritto naturale poiché prive della rivelazione divina. Ne consegue che quando gli Stati cristiani riconoscono il diritto alla libertà a tutte le fedi il risultato è l'indifferentismo e il relativismo religioso per cui una fede vale quanto un'altra. Questo principio non deve essere confuso con la libertà religiosa garantita dalle leggi dello Stato dato che la stessa Chiesa, come dichiarato da Papa Leone XIII nell'enciclica Immortale Dei (1885), ha sempre precisato che nessuno può essere obbligato ad accettare la vera religione con la coercizione. Per la Chiesa la libertà religiosa come base della dignità dell'essere umano e dell'uguaglianza all'interno dello Stato deve essere rispettata ma non può diventare un principio religioso. Essa ha il diritto-dovere di proclamarsi unica depositaria della verità escludendo qualsiasi forma di collaborazione con le altre fedi che non sia finalizzata al mantenimento della concordia e dell'ordine sociale. La Nostra Aetate e la Dignitatis Humanae hanno dato il via libera a un ecumenismo che si apriva agli altri” con il risultato di una perdita dell'identità cattolica. Ciò è dipeso anche dal fatto che il Vaticano II non specificò cosa intendesse per ecumenismo e quali fossero i suoi reali obiettivi. I periti responsabili della stesura dei documenti non seppero o non vollero definire con esattezza i termini dell'ecumenismo. L'ala modernista prevalente nella redazione delle Costituzioni, Decreti e Dichiarazioni, se avesse espresso la propria idea di ecumenismo avrebbe trovato un ostacolo insuperabile nell'opposizione della maggioranza dei Padri conciliari. E' in questa summa di errori e inesattezze che va ricercata l'idea di ecumenismo di Giovanni Paolo II. Si possono elencare una serie di episodi accaduti durante i viaggi apostolici a dimostrazione di come esso andasse assumendo le sembianze del sincretismo religioso sotto le false vesti dell'inculturazione. Una tale ecumenismo non poteva che mettere in scena spettacoli imbarazzanti per un cattolico. Nel maggio 1984 in Papua Nuova Guinea una ragazza indigena in costume locale e con le gambe e il seno scoperto lesse l'Epistola. In quello stesso viaggio apostolico Giovanni Paolo II si recò a “rendere omaggio” al Patriarca Supremo del Buddhismo tailandese che lo accolse seduto, nell'atteggiamento di un sovrano che riceve in udienza un proprio suddito. Nel lungo elenco di episodi sconvenienti figura la preghiera di uno stregone pellerossa ad Aasha Monetoo (Grande Spirito) durante una liturgia celebrata nel febbraio del 1986 dal Pontefice in Canada. Assisi non era il traguardo di un percorso ideato e metodicamente attuato dalla corrente modernista. Al netto dei buoni propositi le scene viste ad Assisi furono un “pugno nello stomaco” per ogni cattolico consapevole del significato e della funzione del Vicario di Cristo, privo di segni esteriori che indicassero la sua dignità e il suo ruolo, uno tra i tanti seduto in mezzo ai rappresentanti di altre fedi che la Chiesa aveva sempre considerato false. Tutti insieme per pregare quell'essere indistinto che ricorda il G.A.U. dei massoni. L'incontro di Assisi non fu indolore all'interno ella Chiesa. A due mesi dall'evento monsignor Lefebvre scrisse una lettera indirizzata a otto cardinali per metterli in guardia dalle conseguenze nefaste di quell'evento. Nonostante alcuni incontri con Ratzinger e la visita apostolica di un alto porporato alla Fraternità Sacerdotale San Pio X (FSSPX) il 30 giugno 1988 si giunse alla definitiva rottura con l'ordinazione di quattro vescovi da parte di monsignor Lefebvre senza il permesso di Roma. Sia l'ex arcivescovo di Dakar che i neo-vescovi incorsero ipso facto nella scomunica latae sententiae. Due giorni dopo la consacrazione episcopale con una lettera apostolica in forma di motu proprio  di Giovanni Paolo II veniva istituita la Pontificia Commissione Ecclesia Dei con il “compito di collaborare coi Vescovi e coi Dicasteri della Curia Romana, nel facilitare la piena comunione ecclesiale dei sacerdoti, seminaristi, comunità o singoli religiosi e religiose, legati alla Fraternità fondata da Mons. Marcel Lefebvre, che desideravano rimanere uniti al Successore di Pietro nella Chiesa Cattolica, conservando le proprie tradizioni spirituali e liturgiche” come si legge sul sito ufficiale de "La Santa Sede - Vatican.va." In questa vicenda la condotta della Santa Sede ricorda quella dei Paesi alle prese con movimenti indipendentisti o rivoluzionari, ovvero negare il problema e reprimerlo con l'utilizzo della forza per poi tentare un accordo secondo i propri interessi, riconoscendo indirettamente l'esistenza del problema. Lo scisma lefebvriano, quasi ininfluente in termini numerici, avrebbe avuto conseguenze che si sarebbero manifestate appieno sotto il pontificato di Benedetto XVI. L'affare Lefebvre è un'ulteriore dimostrazione dei limiti del Pontificato di Giovanni Paolo II; aver continuato sulla strada tracciata da Paolo VI nell'attuazione del Vaticano II senza aver avviato una profonda riflessione critica a venti anni dalla sua conclusione. A fine anni Ottanta si poteva a ragione parlare di neo Cattolicesimo mascherato da una certa solennità, che la Chiesa ancora riusciva a esprimere, e dal carisma del Papa. Il 1989, la nuova” Primavera dei popoli fu il trionfo del suo Pontificato. L'anno iniziò con la fine del ritiro dell'Armata Rossa dall'Afghanistan (15 febbraio), nei mesi successivi i regimi comunisti satelliti dell'URSS caddero come pedine di un domino. Ad aprile dopo essere stato nuovamente legalizzato Solidarność fu ammesso a partecipare alle elezioni semi-libere del 4 giugno. La schiacciante vittoria dei suoi candidati dimostrò come un cambio di governo fosse oramai possibile. Dopo mesi di lunghe trattative la scelta del nuovo primo ministro cadde su Tadeusz Mazowiecki, intellettuale cattolico e tra i fondatori di Solidarność. Nel mese di settembre entrò in carica il primo governo non-comunista dell'Est. Nei mesi successivi a implodere furono i regimi comunisti in Ungheria, Repubblica Democratica Tedesca, Cecoslovacchia, Bulgaria e Romania. In quest'ultimo la fine del socialismo reale fu accompagnata da un bagno di sangue. La protesta esplosa a Timisoara raggiunse in poco tempo la capitale Bucarest per poi dilagare nel resto del Paese. Il presidente Nicolae Causescu, a differenza degli altri capi comunisti, fu assassinato dai rivoltosi il 25 dicembre chiudendo nel sangue un anno straordinario per la storia del Vecchio Continente. Due anni dopo fu il turno dell'URSS che cessò di esistere, anch'esso il 25 dicembre. Gli anni Novanta iniziati per la Chiesa Cattolica sotto i migliori auspici facevano scorgere all'orizzonte nuove e più ardue sfide per un'istituzione proiettata verso il terzo millennio. 


CONTINUA

 

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