Policentrismo multilaterale

 DI GIUSEPPE FARINA 



                                          



Mentre in Europa le persone ancora dotate di un minimo di assennatezza attendono, con legittimo nervosismo, che il governo russo decida la divulgazione delle misure ritorsive in risposta alle sanzioni occidentali, in modo da iniziare ad azzardare una più completa analisi dell’entità dell’impatto che esse comporteranno sull’economia globale e, nel proprio piccolo, su ciascun individuo, chi scrive ha trascorso gli ultimissimi giorni accompagnato dall’idea di un Putin imperturbabile che ancora una volta dimostra, a dispetto dei suoi detrattori nonché della consistente fetta di popolazione europea che lo addita come pazzo, sanguinario e criminale di guerra, nella visione di lungo periodo, di essere una spanna sopra tutti quanti i suoi nemici, nelle cancellerie internazionali, bramosi di vederlo vittima di una qualche congiura o politicamente e personalmente in rotta sul proscenio geostrategico: gli USA infatti rimediano batoste in successione, in Bielorussia come in Afghanistan, in Kazakistan come ora in Ucraina, ma soprattutto prende forma in maniera sempre più concreta la configurazione di quel mondo multilaterale precorso a favore del lettore di questo blog con dovizia di dettagli da parecchi mesi ormai; tuttavia, malgrado i numerosi approfondimenti su tale tematica accordata dagli autori del blog medesimo, rimane inevasa una domanda gradualmente conseguente all’approssimarsi della materializzazione del traguardo costantemente inseguito da Cina e Russia, ma non solo dato che al conseguimento di siffatto obiettivo ha certo contribuito ogni singolo individuo fautore di un assetto internazionale alternativo foriero di un nuovo equilibrio mondiale fondante tra le altre cose un sincretismo sia delle tutele delle libertà basilari che contraddistinguono l’Occidente dai tempi dell’elaborazione hobbesiana, sia la legittimazione di differenti organizzazioni della vita pubblica ormai, quest’ultima, quasi del tutto inquinata in Occidente dalla contaminazione e dall’abbraccio soffocante scaturiti da oltre due secoli di capitalismo. Questa domanda riguarda la progressiva evoluzione dell’ordine globale e come esso possa confluire nella definizione del nuovo regime planetario multilaterale e, quand’anche si tratti di una prospettiva forse ancora prematura stante la transizione tutt’ora in corso, su di essa è già possibile formulare talune considerazioni ora intuibili: in questa prima fase post-unipolarismo americano, l’opinione pubblica internazionale infatti assisterà alla formazione di un policentrismo multilaterale, con ogni probabilità aggregante macroaree, seppure quest’ultima costituisca una variante non automatica e non scontata specialmente laddove resista una qualche entità statuale in grado di esercitare un peso preponderante nell’esercizio di ben delimitate leadership regionali; del resto, gli Stati Uniti, seppure derubricati ad uno dei molti competitor dell’arena globale e scevri di quello scettro di potere detenuto nell’ultimo trentennio, potranno continuare a rappresentare la Potenza incontrastata di riferimento nello specifico contesto nordamericano. Ma in altri angoli del Pianeta ci potranno essere aggregazioni imprevedibili tra player globali e Potenze regionali oppure tra quest’ultime tese a controbilanciare la supremazia degli stessi player mondiali, dato che bisogna, in questo inedito contesto, dare per assodato un ripristino di un realismo comunque mai veramente scomparso dalla fine della Seconda Guerra Mondiale ad oggi, così da preludere a politiche basate su geometrie variabili nelle alleanze contingenti; ad ogni modo, si tratterà di un confronto fra Nazioni, in una chiave esegetica marxista, ancora immerse in un’organizzazione produttiva di tipo capitalistico che favorirà la caducità e la mutevolezza delle alleanze stesse, in funzione dell’obiettivo particolare perseguito in un definito ambito temporale. Inoltre, resta invariato quanto rilevato nel precedente articolo scritto a quattro mani con Alessio Marini - La rivoluzione di Putin - in cui si sottolinea come l’avvento del nuovo regime multilaterale ed il propedeutico stadio iniziale del policentrismo suggeriscano la sostituzione dell’attuale modello geopolitico fondato sul parassitismo finanziario, tanto caro a Washington come pure a Pechino, con un modello geopolitico classico che conduca ad un drastico ridimensionamento del potere della finanza a tutto vantaggio di un ritorno a schemi di stampo ottocentesco con esercizio di egemonia politica quale portato della supremazia delle armi; tutto questo, in un quadro ancora sfumato e dai contorni sfuggenti evocante la figura quasi geometrica dei piani inclinati intrecciati e difficilmente distinguibili, in cui si ritrovano geopolitica, economia, cultura, Deep State e soft power

Concludiamo questo ragionamento necessariamente non approfondito, dato che esso meriterebbe una trattazione ben più ampia condotta con formati maggiormente adeguati, con una rapida riflessione relativa al grande reset: tale incombente tentativo di ritorno in auge di un vero e proprio neofeudalesimo incorre in un’inequivocabile battuta d’arresto ed infatti il tema oggi nel dibattito internazionale imperniato sulle dinamiche belliche opportunamente rimane sottotraccia da parte dei suoi ideatori, ma certamente la fazione sostenitrice di una simile

aberrazione del genere umano proseguirà instancabile la propria attività in attesa dell’occasione propizia per una sua riproposizione nelle giuste circostanze storiche; dunque, il compito di tutti coloro che si sono risolutamente battuti a favore di un rovesciamento degli equilibri mondiali che scongiurasse il grande pericolo implicitamente connesso con questo abominio consiste nella doverosa perpetuazione della vigilanza fin qui osservata così da identificare e stroncare qualunque probabile, futura velleità di riedizione del progetto camuffato sotto mentite spoglie. 

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