Le Americhe: il tramonto dell’Osa

 DI GIUSEPPE FARINA 


                            



Come succedeva, all’inizio di ogni puntata, con i cartoni animati giapponesi qualche anno fa - reminiscenza di tempi sereni per il nostro Paese - riepilogo degli episodi precedenti: la Cina accaparra le risorse energetiche in ogni angolo del Pianeta e concede stimoli fiscali alle proprie imprese nonché l’opportunità a loro favore di scaricare i costi di produzione sul consumatore finale, mentre la crisi Evergrande con ogni probabilità trascinerà a picco i corsi azionari sui listini di tutto il mondo; in Occidente raccontano che la succitata crisi rappresenti il momento “Lehman Brothers” della Cina tale da condurre al sotteso azzoppamento dell’ancora incerto  caracollare da parte del neonato regime multilaterale promosso da Pechino e Mosca su scala globale; il Parlamento europeo definisce le elezioni politiche in Russia “truccate” ancor prima che esse si svolgano, doverosamente premettendo di non avere nulla contro il popolo russo, sebbene quest’ultimo debba aver necessariamente frainteso il messaggio ispirato da cotanto filantropismo perché l’esito della recente consultazione popolare ha sancito, oltre alla riconferma del consenso elettorale registrato da Russia Unita, la crescita tumultuosa del Partito comunista che persegue (esso sì) un programma dichiaratamente antioccidentale; nel frattempo, le tensioni nel Mar Cinese Meridionale raggiungono vette inesplorate e promettono di fare di Taiwan l’epicentro di uno scontro cui forse il mondo non ha più assistito da circa ottant’anni a questa parte. 

In questo marasma dilagante che potrebbe indurre anche il lettore più appassionato a smarrire la bussola di quanto sta avvenendo nel contesto globale, c’è una parte di Pianeta esulante dall’Isola Mondo di mackinderiana memoria, nonché dai satelliti ad essa circostanti, che segue un percorso separato ed autonomo, seppur non ignorando le dinamiche internazionali ma, per così dire, masticandole e interiorizzandole in una dimensione completamente alternativa come insegna la sua intera Storia: ci stiamo naturalmente riferendo all’America Latina e a quelle correnti carsiche che da sempre La percorrono investendo trasversalmente, con fenomeni analoghi, Stati e realtà anche molto diverse tra esse. Quest’ultima considerazione appare oggi particolarmente valida laddove, trascendendo la contrapposizione tradizionale in altre aree mondiali che vede in competizione i tre grandi players planetari, vale a dire Cina, Russia e USA, i Paesi latino-americani, quantunque coinvolti nella disputa per il dominio globale, non si limitano a subirla passivamente ma ne traggono vantaggio per poter conseguire obiettivi specifici. Da questo punto di vista, la prospettiva multilateralista promossa da Cina e Russia si inserisce in un pregresso afflato transcontinentale già propugnato all’epoca delle lotte indipendentiste dalla Corona spagnola, poi oscurato però dall’avvento della dottrina Monroe e dalla conseguente interferenza - con relativi saccheggi di tutte le risorse naturali disponibili -  condotta da Washington nei confronti di ogni singolo Paese afferente il cosiddetto “cortile di casa”; la dottrina Monroe, per oltre un secolo, pose le premesse in funzione della sistematica depredazione statunitense delle ricchezze in quella parte di mondo e, sebbene l’inizio del Ventesimo secolo e la progressiva affermazione di nuovi paradigmi di emancipazione e di pari dignità fra le Nazioni non avessero dissuaso il governo USA dalla perpetuazione delle succitate condotte, al termine del secondo conflitto mondiale improcrastinabilmente si avvertí l’esigenza di ridefinire l’egemonia statunitense in America Latina sotto un’inedita forma che spacciasse gli alleati USA nella regione alla stregua di paladini della democrazia chiamati ad affrontare la minaccia comunista: a questo scopo, fu infatti fondata l’Osa, ossia l’Organizzazione degli Stati americani, che non soltanto avrebbe concesso la prerogativa di proseguire le politiche precedentemente attuate ma avrebbe altresì conferito una parvenza di legalità internazionale all’interventismo americano, raggruppando Paesi ideologicamente affini in una visione di assistenza permanente e reciproca. Di fatto l’Osa divenne un docile strumento in mano americana per un rinnovato controllo regionale e di contrasto all’incombente pericolo sovietico; questa situazione non mutò nemmeno nella prima metà degli anni Ottanta, quando comincia ad intravedersi la china che l’umanità avrebbe imboccato da lí a qualche anno e a livello internazionale si parla di crisi del debito degli Stati latino-americani: esattamente in quel momento si sperimenta quello che noi in Europa avremmo vissuto dopo poco tempo. Si inizia a ipotizzare assistenza fiscale per i Paesi in difficoltà, in cambio delle riforme (questa espressione non vi ricorda nulla?), l’FMI concede finanziamenti dietro pretesa di politiche di macelleria sociale, si escludono moratorie per via del timore di possibili azzardi morali e in questo modo il Continente latinoamericano è il primo a provare sulla propria pelle gli effetti nefasti del neoliberismo e dell’austerity ben presto estese anche all’Occidente. Soltanto con l’Amministrazione di Bush junior l’America Latina può conoscere, dopo quasi due secoli di dottrina Monroe, l’avvio di una nuova stagione: mal consigliato dai suoi miopi consiglieri, il Presidente USA concentra l’attenzione della propria Amministrazione sul Medio Oriente e, per la prima volta dalla  loro risalente ingerenza nel continente, gli Stati Uniti letteralmente abbandonano quei governi latino-americani che in passato tanto risolutamente avevano difeso; tuttavia, come insegna una delle prime regole della geopolitica laddove si crea un vuoto immediatamente c’è qualcuno che lo va a riempire. Nel volgere di un decennio, l’opinione pubblica assiste a cambi di regime quasi ovunque: Lula, Chavez, Correa, Kirchner, Morales, Mujica o la stessa Michelle Bachelet, almeno nella sua prima versione riformista precedente il suo attuale incarico ONU, creano un inaudito sconquasso geopolitico di cui a Washington non tardano a pentirsi amaramente; com’è ovvio, ad una simile deflagrazione regionale non era possibile esimere pure l’Osa che, proprio a partire da questo periodo, precipita in un declino sempre più eclatante a testimonianza per giunta del drastico ridimensionamento sofferto dagli USA nell’area. Negli ultimi dieci anni, gli Stati Uniti hanno tentato un ripristino dello Status quo ante, ma con successi solo parziali: se l’avvento al potere di Bolsonaro costituisce un ritorno al passato per il Sud America, assieme al tradimento vissuto in Ecuador, comunque l’evoluzione del quadro continentale appare irreversibile come peraltro confermato dalle recenti vicende in Bolivia e Perú: l’Osa, e con essa gli USA, non riescono ad incidere più di tanto nelle turbolenze che vieppiú frequentemente caratterizzano la regione e la minaccia di nuove defezioni dall’organizzazione, emulative della scelta del Venezuela, suonano tremendamente concrete. Ma è principalmente la situazione sul terreno a sancire il declino e forse la prossima scomparsa di siffatta organizzazione: tutti i Paesi latino-americani vantano il maggior flusso commerciale con la Cina e nessuno è disponibile a rinunciare ad intrattenere relazioni sempre più organiche con Pechino cosicché, mentre la centralità dell’Osa appare come una vestigia del passato, le diplomazie latino-americane, pur nelle loro asimmetrie, configurano scenari nuovi. Il sogno dell’indipendenza coloniale, vagheggiato nell’era eroica della guerra contro la Spagna, attinge ora a una nuova linfa degna dei combattenti del passato.



Commenti

  1. Articolo di profonda riflessione, mirato con cura sugli aspetti esposti e che dimostra la competenza dell'Autore nello specifico settore studiato.

    RispondiElimina
  2. Dissertazione di rilievo sulla tematica presentata per tutti i risvolti proposti.

    RispondiElimina

Posta un commento

Post più popolari