UNILATERALISMO VS MULTILATERALISMO NELL'INTRECCIO GLOBALISTA


DI:  GIUSEPPE FARINA 






Con la caduta del Muro di Berlino, dalla grande maggioranza dei commentatori giudicata quale portato ineludibile della disgregazione dell’Unione Sovietica – spacciata, quest’ultima, come implosione avvenuta a seguito di una crisi sistemica in ambito economico che condusse a consequenziali riflessi sul piano politico, sociale e vieppiù militare – viene alla luce, in tutto il suo nitore, una dinamica fino ad allora strisciante che prese le mosse già a partire dalla fine degli anni Sessanta, ossia quella che noi tutti oggi conosciamo come Globalizzazione: la comprensione di quest’ultima risulta notevolmente ardua laddove prescinda una sua osservazione sotto un duplice punto di vista, ossia da un lato, occorre cogliere la, per così dire, parte emersa di questo fenomeno, o per meglio dire quella visibile a tutti e della quale si parla quotidianamente mediante gli organi di informazione; dall’altro, c’è però anche un mondo sommerso e non individuabile ad uno sguardo epidermico e che costituisce l’autentica forza propulsiva della stessa. Senza indulgere a facili dietrologie, in riferimento a quest’ultima è certamente possibile menzionare il ruolo in controluce ricoperto da dietro le quinte da alcune fra le più potenti famiglie nordamericane e non solo fra le quali spiccano quelle dei Rotschild e dei Rockfeller che alla fine del cosiddetto boom economico vissuto nel secolo scorso assunsero iniziative sempre più drastiche volte a rimodellare anzitutto il tessuto economico e sociale degli States, con intrecci e ripercussioni inconfutabili rinvenibili già a partire dai primi anni Settanta: fino alla fine del decennio precedente, negli USA, che continuavano a rappresentare pur sempre la patria del capitalismo mondiale, esisteva comunque un’architettura socio-economica assai chiara che prevedeva l’ingresso dell’americano medio in una qualche grande corporation all’interno della quale il lavoratore avrebbe sostanzialmente trascorso la propria intera vita professionale e che sovente, pur non concedendo nelle maggior parte delle circostanze una reale prospettiva di progresso finanziario né di carriera consentiva alle persone di poter mantenere dignitosamente la propria famiglia e di arrivare a godere di una serena pensione (mirabile in proposito la descrizione offerta da celebri produzioni hollywoodiane); tuttavia, esaurita la vena finanziaria garantita dal boom economico di quell’epoca, a causa delle inesorabili dinamiche legate alla caduta del saggio tendenziale di profitto insegnataci dai principali pensatori economici della Storia – quali Ricardo e Marx – le elites occidentali colsero l’occasione offerta dalla stagnazione economica per porre le premesse di un nuovo complesso di regole che avrebbe plasmato la società nei decenni successivi e letteralmente cambiato la faccia del Pianeta. Del resto, proprio in quel momento storico, iniziano a svolgere un ruolo sempre crescente, nelle multinazionali americane, società specialistiche quali la McKinsey – che oggi abbiamo imparato a conoscere anche nel nostro Paese – le quali introducono istituti che poi sono diventati pressoché ovunque di uso comune, vale a dire quelli del lavoro subordinato, in affitto o esternalizzato: emerge quindi in quella fase la tendenza in seguito vieppiù consolidata alla precarizzazione dei rapporti professionali, laddove le multinazionali tagliano il personale e dunque le spese correnti, ma soprattutto rompono il contratto sociale su cui vertevano gli States fino a quel momento; da lì in avanti, l’opinione pubblica mondiale assisterà a un crescendo inarrestabile in cui negli USA la popolazione gradualmente smarrisce le certezze costruite con il New Deal e prende le mosse la Globalizzazione intesa nell’accezione oggi ben visibile a ciascuno, ossia quella di una complessiva distruzione della società occidentale nelle sue varie sfaccettature, comprendendovi anzitutto la dissoluzione degli Stati nazionali, della famiglia tradizionale, delle tutele sociali finanche a prevedere lo smantellamento delle costituzioni giudicate anch’esse un ostacolo al dispiegarsi totalizzante di questo progetto.

La Globalizzazione trascende in definitiva gli aspetti che noi conosciamo nella realtà attuale e comincia a modellare il mondo, almeno quello occidentale, circa mezzo secolo fa tanto da poter comprendere oggi con piena chiarezza il recupero della teoria economica più strampalata della Storia dell’umanità (quella illustrata per intenderci da von Hayek) e la contestuale fondazione della Scuola economica che se ne fece maggiormente promotrice (quella di Chicago) e poi il florilegio di istituzioni sovranazionali concepiti essenzialmente allo scopo di imporre il cosiddetto vincolo esterno e svuotare le democrazie nazionali con tutti gli avvenimenti che accompagnano gli ultimi cinquant’anni del Pianeta; pertanto, questa descritta identifica la poderosa vena carsica che se, da un lato, accompagna immanentemente i popoli del mondo ormai da lungo tempo, dall’altro, costituisce ad oggi per molti versi – come esporrò a breve - il suo principale fattore di debolezza.

Come accennato, parallelamente alla parte sommersa ce n’è una ben visibile che scandisce il proprio percorso mediante tappe facilmente identificabili entrate perlopiù nella memoria collettiva che le associa, almeno in Europa, al consolidamento del processo comunitario, avvenuto a partire dalla pubblicazione nel 1985 del cosiddetto Libro Bianco - alla redazione del quale appositamente attesero i più stretti collaboratori della Thatcher – proseguito con il Trattato di Maastricht e infine culminato con la fondazione dell’euro; tuttavia, la Globalizzazione cosiddetta emersa accompagna e risalta vieppiù durante il cosiddetto decennio dell’euforia neoliberista, contraddistinto quest’ultimo da due eventi salienti quali da un lato l’abolizione dello Glass-Steagall Act – imposta quest’ultima dall’allora Amministrazione Clinton - propedeutica alla creazione delle infinite bolle finanziarie che fino ai giorni nostri di fatto non hanno mai smesso di essere alimentate; dall’altro, l’ingresso della Cina all’interno dell’OMS, inteso quale strumento in grado di imprimere un’ulteriore e verosimilmente definitiva accelerazione a quei processi di delocalizzazione che l’Occidente proprio in quel periodo ha iniziato a conoscere e che condurranno allo smantellamento della manifattura principalmente negli USA e in alcuni Paesi dell’Europa occidentale fra i quali l’Italia nonché alla liquidazione dei tradizionali fondamenti dell’economia, derubricati dal nuovo filone neoliberista alla stregua di inutili orpelli di una concezione latentemente veteromarxista.

Proprio l’adesione della Repubblica Popolare Cinese, unitamente ai tragici fatti dell’11 settembre, segnano però una prima svolta nell’evoluzione del quadro geopolitico mondiale; la tragedia occorsa a New York, seppure evidentemente slegata da quanto sta cominciando a registrarsi nelle more dell’economia planetaria, assurge in qualche modo al rango di evento iniziatico della nuova era globalista: fino a quel terribile giorno, la cronaca delle dinamiche economico-finanziarie e parzialmente l’analisi dei dati forniti dai mercati mondiali non fanno altro che suggellare quanto sancito dalla teoria di Fukuyama, laddove quest’ultimo concepisce l’idea della cosiddetta Fine della Storia, per la quale progressivamente in tutto il mondo si affermeranno regimi liberali, fondati sui mercati e sulle scelte che essi potranno prevedere nei confronti dell’intera umanità; dunque, nell’idea di Fukuyama, Globalizzazione e unilateralismo non soltanto coincidono, ma sostanzialmente esprimono il medesimo concetto, poiché gli USA identificano la Nazione vincitrice della Guerra Fredda nonché vieppiù l’unica superpotenza mondiale che ha conseguentemente concepito una visione basata da un complesso di regole plasmate in funzione del conferimento di un potere egemonico americano esercitato a ogni livello all’interno dei singoli Stati nel Pianeta.

Come osservato in precedenza, però, la Globalizzazione progressivamente introduce intrinsechi elementi che conducono dapprima ad una crescente divaricazione e poi ad una vera e propria dicotomia con l’unilateralismo lungamente in auge, quantunque anche sotto questo aspetto non si debba prescindere da un’analisi che distingua e individui i rispettivi pesi tanto con riferimento alla parte sommersa quanto in relazione a quella emersa con la prima che assume un rilievo ancora maggiore in rapporto all’altra: relativamente alla parte sommersa, il fenomeno che deve immediatamente attirare l’attenzione del lettore consiste, come parzialmente suggerito con l’accenno all’abolizione dello Glass-Steagall Act, nella cosiddetta finanziarizzazione dell’economia, ossia nel conferimento a quel mondo incarnato dagli Stock Exchange mondiali e dai loro relativi corsi borsistici, formati da un florilegio sempre maggiore e incontrollabile di inediti strumenti finanziari volti ad alimentare una massa monetaria inaudita in tutta la Storia dell’umanità, di una centralità mai osservata in precedenza in tutto il Pianeta; il ricorso ai junk bond, la crisi della Lehman Brothers, la necessità conseguente imposta alle Banche Centrali in ogni angolo del mondo di prevedere pressoché ininterrotte iniezioni di liquidità contribuiscono tutte assieme a favorire la formazione di colossi economici inimmaginabili fino a pochi anni prima i quali in un breve volgere possono rimuovere qualunque ostacolo si pari di fronte a loro tale è il potere concesso dall’impressionante massa finanziaria di cui dispongono e della quale si avvalgono per porre in essere i propri fini. Questi dominatori assoluti della scena geopolitica, almeno in Occidente, sono i grandi hedge funds di Wall Street che com’è intuibile non rappresentano una novità del panorama mondiale ma vanno piuttosto a innestarsi nel solco già segnato da una componente tradizionalmente attenta alle dinamiche del Potere, vale a dire il famigerato Deep State, seppure in questa epoca in grado di forgiare l’umanità come mai forse prima aveva potuto: i grandi hedge funds americani attingono a una disponibilità liquida variamente stimata attorno ai 50000 miliardi di dollari, denaro che ha concesso ad essi una progressiva conquista di tutto quanto fosse sul mercato e non solo; Big Data, banche, farmaceutica, ogni singolo organo di informazione, industrie, servizi, cibo. Non c’è stato ambito che di volta in volta non sia caduto sotto il loro controllo, così da giungere a poter prevedere la costruzione di una società nemmeno tanto lontana da quelle numerose suggestioni distopiche forniteci dalla letteratura in anni non sospetti. Tuttavia, accanto alla parte sommersa, come detto, residua sempre la parte emersa e visibile consistente perlopiù nelle dinamiche politiche dei Paesi occidentali, laddove sistemicamente emerge la tendenza ad un’omologazione sia dell’offerta politica – del resto inesorabile in un presunto quadro di fine delle ideologie e addirittura della Storia stessa – con l’avvento al potere di partiti che fanno riferimento apertis verbis malgrado il retroterra politico-culturale ne fosse magari lontanissimo - alla tradizione americana persino nell’individuazione del loro nome; sia vieppiù della selezione della stessa classe politica tanto da poter assistere alla catalogazione, a giudizio di chi scrive, di un’inedita categoria nel mondo politico-istituzionale, vale a dire quella di figure politiche “usa e getta” o, per meglio dire, a obsolescenza programmata: l’opinione pubblica assiste, infatti, a partire dall’inizio del nuovo millennio specialmente in Europa, all’avvento al potere talora fulmineo di personaggi, giunti alla ribalta delle cronache politiche nel volgere di archi temporali relativamente brevi, letteralmente emersi da un anonimato assoluto e accompagnati da un irresistibile favore popolare quasi sempre artificialmente alimentato da organi di informazione conniventi in grado, seppure ormai in misura sempre decrescente, di manipolare la formazione del consenso facendo infine approdare i propri beniamini al vertice del potere politico nei rispettivi Paesi di appartenenza; in seguito, la parabola che contraddistingue questi miracolati della politica sistematicamente segue il medesimo percorso, laddove il governante di turno di fatto tradisce tutte le promesse programmatiche concesse a piene mani nel corso delle contingenti campagne elettorali e impone l’agenda politica imposta dai padroni del vapore – si tratti delle principali cancellerie internazionali o dagli organismi internazionali diretta emanazione delle elites dominanti da dietro le quinte – e debitamente preparata dal mainstream che non tarda a spiegare e proclamare ai quattro venti l’esigenza nonché l’ineludibilità delle riforme da adottare normalmente consistenti nello smantellamento progressivo del welfare state e nella contestuale cancellazione dei diritti sociali, per poi proseguire con la distruzione dei ceti medi nazionali e il conseguente ingrossamento di masse neo-proletarie obbligate a loro volta a entrare in una competizione sistemica con flussi crescenti di nuova manodopera alimentata dall’immigrazione onde costringere la classe lavoratrice a sopportare condizioni di impiego sempre più al ribasso nonché una complessiva precarizzazione dell’esistenza nei confronti di individui scientemente isolati in una società atomizzata. L’esito di queste politiche immancabilmente giunge sempre alla identica conclusione: la figura politica autrice delle stesse provoca un tracollo dei consensi nel proprio partito di provenienza, lascia i propri incarichi aventi natura pubblica e si ritira in qualche attività opportunamente predisposta a tempo debito e saltuariamente ricompare nel dibattito partitico e politico qualora le circostanze del momento lo richiedano, dato che, a dispetto dei catastrofi da loro causate, nel frattempo assurgono al rango di Padri nobili di un partito o addirittura della politica nazionale intesa nella sua interezza: questo resoconto generalizzato può essere tranquillamente riferibile a numerose esperienze pregresse osservate in non poche Nazioni del Vecchio Continente; basti menzionare l’archetipo di un simile paradigma, ossia l’ex Cancelliere tedesco Gerard Schroeder – ricordato nel proprio Paese soprattutto per essere stato l’artefice del terrificante programma sociale denominato Artz 4 tutt’oggi vigente nella Germania del lungo dominio democristiano – per continuare con figure analoghe un po’ ovunque fra le quali purtroppo spiccano quelle italiane partendo dalle principali personalità politiche della cosiddetta Seconda Repubblica fino ad arrivare ai giorni nostri, sebbene non si debbano dimenticare politici e partiti di altre Nazioni, quali Sarkozyˊ in Francia o Podemos in Spagna.

SEGUE NEL PROSSIMO ARTICOLO

Commenti

  1. Articolo accurato che rappresenta la Globalizzazione quale archetipo e prototipo dell'"obsolescenza programnata".

    RispondiElimina

Posta un commento

Post più popolari