A Roma cadono platani

 DI GIUSEPPE FARINA 


                                          




Mentre nel Palazzo della politica romana si stappano bottiglie di spumante (o forse di champagne visto l’inossidabile servilismo filo-francese dei nostri apparati) per celebrare la sospirata riconferma del PdR, le nostre classi politica e dirigente raggiungono inediti livelli di irresponsabilità e incoscienza e non odono, ignare o distratte, lo sciabordio delle navi da guerra battenti bandiera della Federazione Russa e placidamente transitanti nel Canale di Sicilia da dove si spingeranno fino al Bosforo e poi al Mar Nero; ma che importa? La politica spicciola di questo Paese non ha tempo per occuparsi di eventi trascurabili come il precipitare del contesto internazionale ed i suoi riflessi sull’economia interna e, in definitiva, sulla vita di ciascuno di noi. Eppure la classe politica ben si dovrebbe interessare a quel che accade finanche nel cortile di casa perché, per quanto ci si sforzi di rinchiudersi nella propria Turris eburnea, gli eventi circostanti finiranno per bussare alla nostra porta e sono molti gli avvenimenti in procinto di accadere o che stanno già producendo i propri effetti, a partire dal tapering, preludio, a sua volta, dell’inflazione che sta devastando in modo particolare l’Europa laddove si verifica la dinamica dell’inflazione importata derivante anzitutto dalla componente energetica; si può poi proseguire con le già programmate mosse della Federal Reserve che ha preannunciato quattro rialzi dei tassi d’interesse - ma potrebbero essere anche di più - cui dovrà seguire un’analoga stretta monetaria da parte della BCE foriera di un’esplosione dei debiti pubblici della Francia e dei Paesi mediterranei tale da condurre alla disintegrazione dell’Unione Europea o almeno dell’eurozona. Inoltre, c’è la ratifica della riforma del Mes, la desertificazione della piccola e media impresa italiana (impressionanti le cifre relative al 2020 in cui occorre registrare un saldo passivo pari alla chiusura di ben 300000 imprese e nel 2021 il trend si è tutt’altro che invertito), le ripercussioni legate alla green economy che proprio in questi giorni hanno condotto a esuberi desolanti in aziende storiche della componentistica nazionale, mentre multinazionali estere divorano il tessuto economico di questo Paese con acquisti a prezzo di saldo di storici impianti di montagna in Piemonte o spiagge abitualmente animate da pendolari dalla città in Friuli che vedranno le loro tradizionali mete balneari trasformate in esclusivi yacht club riservati ai ricchissimi del Pianeta: nel governo, i più avveduti precorrono la crisi incombente e intravedono una via di scampo nelle dimissioni che rappresenterebbero una fuga o da scrivanie sommerse da fascicoli relativi a vertenze di aziende delocalizzate o da transizioni ecologiche che non riescono a compiere, ma il primo ad esprimere consapevolezza riguardo la situazione in essere è proprio il premier, respinto con perdite ingenti nella corsa al Quirinale, avventuratosi sul terreno infido e scivoloso della geopolitica internazionale e costretto ad un margine di manovra sempre più esiguo ed angusto; del resto, la tensione in Europa orientale ha condotto ad un appiattimento delle pur numerose ed eterogenee posizioni fra i diversi Paesi europei allineando, seppur obtorto collo, quegli Stati, fra i quali si può certamente menzionare anche l’Italia, che da sempre perseguono approcci politici assai differenziati nei confronti del gigante russo: sopraffatto da aporie politico-economiche irrisolvibili, preso a calci in bocca in quell'Europa che ha rigettato tutte le sue proposte di abolizione dell’output gap o di revisione del Patto di Stabilità e Crescita, derubricato ad un umiliante ruolo da yes-man nell’agenda internazionale, il capo di governo medita l’evasione da un assedio che non può eludere in attesa dunque di una circostanza propizia o di un incidente, per così dire, diplomatico che gli conceda l’opportunità di abbandonare la nave che affonda prima che il naufragio della politica faccia affogare anche lui. Resta l’attuale PdR che ha brigato fin dal 2019 per rimanere inquilino del Colle, ma anche per il Capo dello Stato si tratta di un calcolo di breve respiro. Gli abusi istituzionali che hanno contraddistinto il suo precedente settennato non basteranno a silenziare i “sinistri” scricchiolii di un edificio costituzionale diruto e traballante fin dalle fondamenta che, a partire dalla prossima legislatura, dovrà per giunta affrontare una questione ad oggi ignorata da praticamente tutti i commentatori politici, vale a dire quella inerente la riduzione dei poteri presidenziali: le analisi esposte dai mass media, a seguito dell’ultima riforma costituzionale approvata dal Parlamento, si sono incentrati sul portato piú evidente ed anche piú scontato della stessa, relativa al taglio del numero dei membri delle Camere con annessa controversia imperniata sull’antipolitica e sull’antiparlamentarismo, ma hanno clamorosamente trascurato quella che sarà la conseguenza di gran lunga più importante scaturente dal voto popolare al referendum confermativo, ossia il ridimensionamento della figura del PdR che sarà costretto dopo la prossima tornata elettorale a ricoprire un ruolo gregario del governo: nelle nuove Camere, saranno sufficienti 134 seggi a Palazzo Madama e 267 seggi a Palazzo Montecitorio per conseguire la maggioranza qualificata e procedere eventualmente alla destituzione della massima carica dello Stato; un’incognita con ogni probabilità sfuggita anche agli attenti osservatori delle vicende nostrane all’interno delle Cancellerie internazionali che non si sono resi conto di come quest’elemento costituirà a breve un’ulteriore variabile impazzita che non potrà non riverberare i propri effetti anche sul panorama politico mondiale. 

Commenti

  1. Riflessioni attente di altrettanto accurato Articolista, dove però a parere di chi scrive, il quanto proposto, è riconducibile alle forme di una bell'equazione differenziale e per la quale, è del tutto normale avere infinite soluzioni...

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  2. Mussante articolo nei singolari e quanto mai graffianti raffronti prospettati (e per certi versi però, pure proprio assai condivisibili) sul più prossimo futuro politico, economico e sociale del Paese!

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