Perché la guerra può finire entro l’anno
DI GIUSEPPE FARINA
Nonostante l’ineludibile insabbiamento mediatico imposto dagli inscalfibili dominatori dell’informazione o di quello che di essa residua, la grande maggioranza dell’opinione pubblica, nel corso di questi ultimi giorni, ha appreso la novità saliente del dibattito geopolitico internazionale, ossia la formulazione di una proposta negoziale, avanzata da Musk e propedeutica alla stipulazione di un vero e proprio trattato di pace od almeno di un armistizio fra le armate belligeranti in Europa orientale: seppur trattandosi soltanto di un abbozzo di negoziato, che verte sulla previsione di quattro specifici punti dirimenti talune preliminari controversie tra i due Paesi in guerra e dunque necessitante di discussioni foriere di sviluppi tali da andare oltre il bozzolo di un’idea ancora allo stato embrionale , esso certamente costituisce l’abbrivio fondamentale di colloqui che possano condurre ad una pacificazione di una porzione d’Europa ad oggi soggetta a totale devastazione, ma soprattutto sottende ad una dinamica finalmente significativa all’interno dell’establishment americano, al punto tale che essa non è stata trascurata neppure dai vertici politici al Cremlino. A corroborare questa prospettiva soccorrono, nella settimana appena trascorsa, taluni indizi che suffragano le ipotesi succitate, vale a dire, in primo luogo, la proposta direttamente esposta da Putin, di fare della Turchia il nuovo hub continentale del gas in modo da fornire un assist nemmeno tanto implicito a favore di quelle Nazioni, in primis la Germania, giunte ormai chiaramente nella condizione, alla vigilia dell’imminente stagione invernale, di non poter prescindere dall’afflusso di fonti di energia dalla Russia, seppur subordinando il loro consumo al ricorso ad un’infrastruttura vitale per Ankara e in quanto tale anche efficacemente protetta da azioni asimmetriche poste in essere dai soliti malfattori dell’ordine mondiale; in secondo luogo, l’apertura negoziale contemporaneamente concessa dall’Azerbaijan a condurre in porto una trattativa con il governo armeno onde porre in maniera ultimativa la parola fine al conflitto che ha ripreso ad infiammare il Caucaso da ormai oltre un anno, così da lasciar intendere come, con ogni evidenza, da Washington siano giunti segnali tesi a dismettere l’armamentario bellicista antirusso in tale regione; del resto, l’adozione di recenti sanzioni nei confronti di Yerevan suggeriva come l’Intelligence americana non fosse più in grado di esercitare un peso preponderante circa gli orientamenti politici della leadership armena che aveva vissuto gli accadimenti bellici degli ultimi mesi alla stregua di un autentico tradimento da parte degli USA. Infine, a coronamento dei summenzionati segnali arriva la disponibilità espressa dal Presidente statunitense alla convocazione di un incontro con Putin a margine del G20, seppure formalmente solo per parlare di una tematica del tutto esulante dalla vicenda bellica.
Tutte le considerazioni testé esposte testimoniano, come precedentemente accennato, il riposizionamento di una parte rilevante dell’establishment negli USA all’interno di quella vera e propria camera di compensazione che è il Deep State in Occidente, così da consentire l’incontro, in siffatto ambito, tra gli autentici detentori del potere fra le due sponde dell’Oceano Atlantico ma non solo fra loro, dato che il Deep State rappresenta un agone concepito per un’osmosi anche con mondi con esso non propriamente pertinenti, così da spiegare l’appartenenza od almeno il coinvolgimento in questo contesto di figure di spicco del governo cinese ed anche, con ogni probabilità, di esponenti centrali di quell’oligarchia russa, letteralmente ridotta in uno stato di annichilimento dalla deflagrazione bellica in Ucraina, oligarchia con cui Putin, fin dai suoi esordi sullo scacchiere internazionale, ha instaurato un rapporto tanto promiscuo quanto inevitabile e che oggi vede in questa parvenza di negoziato una possibilità insperata per uscire dalla condizione di assoluta marginalizzazione cui la guerra l’ha costretta.
D’altro canto, una figura come quella di Musk che identifica il catalizzatore di siffatte dimensioni del potere talora estremamente distanti tra esse, vista anche, come già osservato su questo blog, la sua biografia - uomo più ricco del Pianeta, nato in Sudafrica e residente negli USA ma legato a doppio filo alla nomenclatura del PCC - rappresenta il megafono naturale di quei segmenti rilevanti nel Deep State ma non prevalenti in esso che esprimano il proprio dissenso in merito all’evoluzione delle linee programmatiche tracciate e della strategia mondiale ad esse sottese; tuttavia, malgrado tali considerazioni, a tutt’oggi non c’è alcun dubbio che la linea imposta dal partito guerrafondaio conservi una solida maggioranza nella stanza dei bottoni in Occidente e se talune prospettive di sospensione del conflitto globale, che potrebbero maturare comunque non prima delle elezioni di mid-term negli Stati Uniti, sono concretamente prese in esame non bisogna comunque farsi eccessive illusioni in proposito. Le cause di fondo di questa nuova guerra mondiale consistenti nei massicci squilibri commerciali fra i diversi players globali restano inalterate ed anzi accentuano la loro gravità come registrato dall’andamento più recente della bilancia commerciale e di quella delle partite correnti, a dispetto dei propositi USA di un riequilibrio dei conti da ottenere quale esito intrinseco alla conflagrazione; dunque, occorre correttamente interpretare le plausibili aperture accordate in questi ultimi giorni dall’Amministrazione USA: esse vanno certo colte in modo da porre un argine ad una deriva bellica dilagante che può sfuggire di mano fino a travolgere i precari baluardi eretti dalle poche figure assennate nel proscenio internazionale e concedere sollievo ad una popolazione mondiale oggi quanto mai sofferente in conseguenza delle notevoli ripercussioni derivanti dallo scontro in atto. Tuttavia, quand’anche un simile agognato risultato fosse conseguito, a giudizio dello scrivente, esso non potrebbe che assumere un carattere tattico e procrastinare una probabile ripresa delle ostilità, seppure forse in una differente regione del mondo, quale realisticamente sarebbe quella del Golfo Persico.


La fine della guerra entro l'anno quale risultato tattico possibile per deconflittualizzare il mondo ma i fini strategici ipotizzabili possono essere comunque imprevedibili.
RispondiElimina