Cosa succederà con le elezioni
DI GIUSEPPE FARINA
Torniamo a occuparci di Italia, dopo un lungo periodo in cui su questo blog è calato un pietoso silenzio sulle vicende del nostro Paese: chi scrive reputa doveroso, in considerazione del portato delle conseguenze che da essa scaturisce, a loro volta ulteriormente amplificate da una grancassa mediatica che ha largamente travalicato i confini nazionali tanto da condurla al centro della ribalta nelle osservazioni degli analisti internazionali, gettare uno sguardo attento tanto alle origini quanto alle plausibili evoluzioni della crisi di governo che ha calamitato su di essa una massiccia dose di commenti e previsioni in Occidente e specularmente nei Paesi esulanti il Washington Consensus con particolare riferimento, com’è intuibile, alla Russia: da Mosca non trattengono un’esultanza compiaciuta così da correlare la caduta del governo Draghi ad una delle numerose e devastanti conseguenze che si stanno abbattendo senza soluzione di continuità all’indirizzo delle principali compagini governative europee e certamente questa considerazione contiene un fondo di verità; tuttavia, la situazione italiana esprime proprie peculiarità e complessità esulanti dalle circostanze registrate nei contingenti contesti internazionali laddove la rimozione del premier britannico, il singolare scandalo sessuale che ha visto suo malgrado coinvolto l’attuale cancelliere tedesco, la delegittimazione del vieppiú precario presidente francese rinvengono in controluce un inequivocabile minimo comune multiplo, ossia quello del malcelato e tangibile intervento di un’ormai inconfondibile longa manus quale quella dei servizi segreti americani, impegnati come mai prima nel defenestramento o, qualora prescindano le condizioni in funzione del conseguimento del suddetto obiettivo, almeno nella destabilizzazione di tutte quelle figure anche soltanto minimamente recalcitranti nei confronti delle misure varate Oltreoceano e non completamente appiattite alla narrazione dominante nella vulgata occidentale, che prevede il ricorso automatico allo storytelling del Paese aggredito e di quello aggressore. Ma il Presidente del Consiglio dimissionario, com’è ovvio, non può essere in alcun modo iscritto alle categorie summenzionate, dato che la corrente conduzione della nostra politica estera ha bruscamente interrotto una consolidata tradizione di amicizia e relazioni diplomatiche assai più che cordiali nei riguardi della Russia, fondate, quest’ultime, su di una vera e propria reciproca attrazione irresistibile difficilmente comprensibile solo con schemi meramente razionali: dalla proclamazione o quasi dell’unità d’Italia, la suggestione esercitata nel Belpaese da una Nazione certamente lontana ma a noi affratellata da un comune sentire evocante forse ancestrali richiami in un’esegesi impossibile da compiere con il ricorso al solo vocabolario linguistico ha puntualmente accompagnato l’evolvere del nostro percorso storico. In particolare, chi scrive ha visitato in ormai numerose occasioni la Russia e ogni volta una frase ricorrente esprime lo stato d’animo dei viaggi compiuti: “Io vengo da qua”; come detto, si tratta di un richiamo ancestrale ma sempre estremamente nitido nell’esplorazione infinita di una Nazione e di un popolo che rappresentano una costante fonte di nuove scoperte ogni volta che è possibile effettuare una nuova escursione. Concessa questa rapida digressione personale, torniamo a bomba e in virtù della maieutica socratica domandiamoci per quale motivo il governo Draghi sia caduto: a giudizio dello scrivente, come quasi sempre avviene, soccorrono i dati macroeconomici, con specifico riferimento alla posizione finanziaria netta dell’Italia; contrariamente alla Germania, che nel corso degli ultimi venticinque anni ha accumulato ricchezze sconfinate, il nostro Paese poggia su di un N.I.P. pari a circa 150 miliardi di euro al 31 Dicembre 2021. Tuttavia, già al termine del primo quadrimestre di quest’anno ci si può rendere conto di come la guerra in Ucraina e le correlate sanzioni abbiano condotto ad una passività stimabile attorno ai 10 miliardi di euro e, è bene rimarcarlo, fino al 24 Febbraio non c’erano guerra nè sanzioni; dunque, non è difficile immaginare che in conclusione del secondo quadrimestre gli effetti prodotti dalla conflagrazione bellica assumeranno contorni anche maggiori. È altrettanto bene ricordare come ormai l’Italia, gravata da un debito pubblico generato dal nostro convolare all’interno dell’UE, riesca a pagare gli interessi sul debito soltanto grazie ai proventi assicurati fino ad oggi dal surplus commerciale e che, quindi, il loro prosciugamento rende insostenibile la tenuta della finanza pubblica: il premier dimissionario che, come osservato in questo anno e mezzo, non solo non è certo uno statista dimostrando anzi quasi sempre piuttosto cialtroneria e repellenza verso la democrazia e le sue istituzioni, rimane comunque persona preparata almeno nella comprensione dei numeri e quelli relativi all’andamento della bilancia commerciale non potevano sicuramente sfuggirgli; pertanto, in una facile previsione di naufragio economico, fin dalla rielezione dell’attuale Capo dello Stato, ha cercato in ogni modo l’imbarco sulla scialuppa di salvataggio rappresentata dalla fuga dall’esecutivo. Tuttavia, l’ex presidente della BCE in questi ultimi mesi era stato letteralmente preso in ostaggio dai parlamentari che reclamavano apertis verbis la maturazione del diritto alla pensione, tanto da costringerlo, congiuntamente alla crisi ucraina, ad una permanenza oltre il previsto nelle ormai sempre più scomode stanze del potere italiano: la certezza del raggiungimento dell’obiettivo previdenziale ha infine rimosso l’ultimo ostacolo frapposto tra il premier ed il coronamento della sua agognata corsa verso la libertà cui ha concretamente contributo quasi l’intero arco costituzionale presente in Parlamento; del resto, non appena create le opportune condizioni, il partito unico italiano, nella piena consapevolezza delle cifre precedentemente snocciolate, si è affrettato a chiudere la dolorosa parentesi di una Legislatura che sarà ricordata in relazione all’approvazione di leggi vergogna come in Italia non se ne vedevano dal fascismo. Con il ricorso alle urne anticipate, esiste una buona possibilità di un contenimento temporaneo degli effetti economici e politici più nefasti che attendono il nostro Paese nei prossimi mesi e l’attuale sistema partitico che umilia e offende questa Nazione da lungo tempo confida in qualche modo in una prospettiva di sopravvivenza.
Restano sul tappeto i problemi che tutti ben conosciamo: l’Italia costituisce l’anello debole della coalizione internazionale antirussa e il Paese può letteralmente andare in frantumi da un momento all’altro; d’altro canto, se anche un governante appena rieletto con amplissimo consenso in Serbia si trova alle prese con il malcontento popolare scaturito dalla complicata congiuntura internazionale, si può facilmente intuire cosa attenda la platea di numerosi pretendenti al potere a Roma, sebbene pubblicamente nessuno appaia preoccuparsene. Tuttavia, con questi dati macroeconomici ed un’erosione tremendamente rapida del nostro attivo finanziario, non sarà possibile resistere a lungo; e se l’Italia collassa, viene giù tutto . . .


Articolo ben combinato, molto esauriente ed ampiamente condivisibile... poveri noi e povera Italia...
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