Guerra in Ucraina: quali esiti
DI GIUSEPPE FARINA
Il comunicato annesso alla recente conference-call tenuta fra i leader dei BRICS nel corso della settimana appena conclusa; il risultato delle elezioni legislative in Francia (equivalenti alle nostre Politiche); il tracollo della propaganda persino nella stessa Ucraina e la presa di consapevolezza della popolazione nell’ex repubblica sovietica: a giudizio di chi scrive sono queste le tre recenti e fondamentali novità imposte all’attenzione dell’opinione pubblica internazionale e che già nei prossimi giorni potranno esercitare un peso preponderante nell’evolvere delle medesime dinamiche belliche.
In merito alla prima, di cui come purtroppo sovente avviene, si è fatta una scarsa analisi da parte di numerosi cosiddetti analisti e nel suo complesso dal mainstream occorre mettere in risalto un dato che esprime un potenziale esplosivo riguardo gli sviluppi e la definizione dei prossimi equilibri geopolitici globali, con l’ultimativo spostamento del baricentro mondiale verso i nuovi protagonisti dello scenario planetario: nella dichiarazione riepilogativa del summit, per la prima volta ed in termini assolutamente inequivocabili, si è parlato apertis verbis, dell’imminente conio, da parte degli Stati membri del BRICS, di una moneta comune in cui confluiranno le valute delle singole Nazioni; dunque, di che cosa si tratta? Certamente non della creazione di una moneta unica come tragicamente avvenuto in Europa negli ultimi vent’anni, nella verosimile consapevolezza di come quest’ultima abbia rappresentato una scelta scellerata dei suoi promotori e di come abbia arrecato danni inauditi a quei Paesi travolti dalle sue assurde regole; piuttosto, nel concreto, i governi BRICS stanno mettendo a punto un paniere nel quale le singole valute nazionali concorreranno in base al PIL cui ciascuna di esse contribuisce così da determinare il loro reciproco valore e prevenire sconquassamenti derivanti dai contingenti flussi commerciali. In realtà, tale idea non è per nulla inedita, dato che il progetto della moneta comune era quello di cui si discusse in Europa per decenni, prima che la perfidia tedesca imponesse agli altri Stati membri dell’UE la prospettiva dell’euro in funzione del tornaconto personale di Berlino, in modo da esercitare, tramite lo strumento monetario, un’egemonia dapprima sul Vecchio Continente e poi nel medio-lungo termine su vaste aree del Pianeta: con quali risultati, ad oggi è a tutti fin troppo evidente. Del resto, l’adozione della moneta comune rappresentava un’idea a suo tempo espressa da Keynes: il grande economista aveva, infatti, posto nelle sue analisi il varo di una moneta comune a coronamento della sua intera architettura economico-finanziaria, poiché attraverso di essa riteneva necessaria la prevenzione di quegli squilibri commerciali tesi ad alimentare l’accumulo di ricchezze sproporzionate da parte di singoli Paesi cui inesorabilmente segue la megalomania e il relativo desiderio di dominio del mondo; da questo punto di vista, il progetto vagheggiato nella recente conversazione fra i leader BRICS appare come un primo passo propedeutico alla realizzazione di un inedito assetto geopolitico ed economico mondiali forieri, a loro volta, di quel nuovo regime multilaterale agognato dalle Potenze emergenti e cui ha fatto esplicito riferimento anche il Ministro degli Esteri russo Lavrov in una sua conferenza stampa di non molti giorni orsono. Le conseguenze di un simile annuncio sono sotto gli occhi di tutti, dal momento che esso può essere considerato alla stregua di una vera e propria dichiarazione di guerra nei confronti degli USA onde imprimere un’accelerazione straordinaria a quel processo di dedollarizzazione dell’economia mondiale cui le dinamiche dello schieramento sino-russo sottendono da diversi anni tanto da costituire lo snodo fondamentale dell’avvento del nuovo assetto multilaterale globale; la portata della minaccia arrecata dagli sforzi profusi da quel gruppo collettivo di Nazioni che vedono gli USA ormai come il proprio bersaglio è stata ampiamente compresa a Washington tanto da aver indotto la Federal Reserve ad annunciare una drastica riduzione della tempistica prevista nell’adozione di una nuova valuta digitale pubblica che dovrebbe promuovere il contenimento della deriva monetarista anti-USA, sebbene il progetto fin d’ora denunci palesi, intrinseche carenze: esso non soltanto non dissuaderà la grande maggioranza dei Paesi ad un progressivo avvicinamento al nuovo paniere proposto dai BRICS, nella misura in cui le condizioni d’uso appariranno più favorevoli dell’indebitamento in dollari, seppure digitali, ma paradossalmente rischia di provocare ffetti controproducenti alla causa americana, laddove la diffusione capillare di valute digitali pubbliche condurrà ad una più rapida dismissione dello SWIFT, ossia di quel circuito finanziario e bancario internazionali che rappresentava l’esercizio dell’autentico potere USA, dato che l’estromissione da quest’ultimo potrebbe a tutt’oggi condurre al collasso di intere economie. Logicamente, nel momento in cui i flussi finanziari correlati al pagamento delle grandi transazioni commerciali internazionali esuleranno dai circuiti bancari tradizionali e prevederanno piuttosto il ricorso a comuni codici binari, prescinderà del tutto l’arma finale di cui gli Stati Uniti si sono avvalsi per combattere tutte quelle Nazioni che hanno opposto resistenza al perseguimento delle loro finalità geopolitiche globali.
Questa situazione, se da un lato può indurre il lettore a trarre un sospiro di sollievo in considerazione del tracollo di un regime gradualmente scivolato su posizioni autoritarie, in ambito occidentale, come i recenti accadimenti pandemici insegnano, dall’altro non possono non mettere in allarme l’osservatore del contesto geopolitico: come già accennato, la nota diramata al termine della consultazione fra i BRICS costituisce una dichiarazione di guerra e come tale sarà vissuta negli USA: il timore che il suddetto nuovo ordine monetario rappresenti il detonatore per una conflagrazione bellica di ancora più grandi proporzioni che veda l’intervento diretto NATO in Europa orientale è uno scenario tutt’altro che peregrino e conferirebbe alla guerra in Ucraina quella dimensione mondiale che ancora rimane in controluce. Tuttavia, questa prima notizia su cui chi scrive si è soffermato in questo articolo è intrecciata con le altre due menzionate in avvio, vale a dire anzitutto l’esito delle legislative in Francia: la batosta elettorale sofferta dall’appena rieletto presidente con la contestuale assenza di una chiara maggioranza parlamentare incrina con ogni probabilità la compattezza della NATO, dato che solo l’attuale Capo di Stato in Francia appare risoluto a proseguire nella via di una guerra sine die con Mosca e il probabile deliquio di Parigi conseguentemente dissuaderebbe gli altri partner europei da un’avventura tale da mettere a repentaglio la sopravvivenza del genere umano stesso o più semplicemente la conservazione di quella centralità a livello mondiale di cui l’Europa ha goduto negli ultimi due secoli. Con una rapida analisi, il Vecchio Continente potrebbe mettere in campo un’Armata di poco superiore ai centomila uomini, tenendo conto delle necessità di rotazione dei soldati contraddistinti da un’età media alquanto elevata con capacità di resistenza limitate tutt’al più a tre, forse quattro mesi; pertanto, lo sforzo principale di un attacco NATO dovrebbe essere sostenuto dagli americani che però potrebbero trovarsi nella situazione di combattere in maniera simultanea su più continenti. Insomma, uno scenario irrealistico perfino per una Potenza come gli Stati Uniti.
A tutto questo, si aggiunga l’ultima notizia citata all’inizio, ossia la diffusa presa di consapevolezza dell’avanzata russa e del costo umano elevato patito dalle truppe ucraine: in proposito, si susseguono inarrestabili aggiornamenti riguardanti soldati ucraini che gettano le armi e si consegnano ai Russi, così da certificare la prospettiva di un collasso prossimo dell’esercito di Kiev che condurrebbe l’Armata russa ad una supremazia territoriale su buona parte dell’Ucraina, tanto più probabile laddove si tenga conto di come essa debba ormai prescindere dal ricorso ai propri reparti d’élite sostituiti da soldati provenienti dalla Guardia Nazionale scarsamente addestrati e poco preparati ad un combattimento reale; dunque, non sorprenderebbe affatto assistere già nei prossimi giorni ad un massiccio spostamento di truppe russe in direzione di Odessa. L’insieme di queste informazioni regalano un quadro delineato della situazione: si è in presenza di quella che è possibile definire una guerra in cui non sono previsti prigionieri e chi soccombe pagherà prezzi altissimi, tenendo conto di come il florilegio di novità osservato nel giro di pochi giorni costringa a prendere decisioni critiche in un arco temporale relativamente breve. Teniamoci pronti.


Relatore di eccellente preparazione e spessore.
RispondiEliminaEstote parati. Si vis pacem, para bellum....
I costi economici e sociali sono sotto i riflettori di tutto il Mondo, ma i politici deputati nelle scelte da compiere cosa stanno facendo?
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