Nazioni Unite: fine di un'utopia

 

DI: GIUSEPPE FARINA





Global Compact: quante persone ricordano oggi di cosa si trattasse? Eppure rappresentò uno degli argomenti più spinosi all’inizio dell’attuale legislatura e vieppiù costituì il primo test autenticamente probante dell’allora maggioranza giallo-verde; ma perché ne stiamo parlando in questo blog che, com’è noto a chi ci segue, verte su argomenti squisitamente geopolitici? La risposta è che esso ci rimanda ad una breve ma intensa stagione risalente ormai a circa tre fa in cui l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati assurse in quell’occasione al ruolo di assoluto protagonista del dibattito nazionale, tanto da aver assistito, in un paio di sporadiche circostanze, anche ad interventi diretti del Segretario Generale ONU – lo spagnolo Guterres – relativi alla necessità, pure per lo Stato italiano, di procedere celermente alla ratifica del suddetto Global Compact, ossia dell’ennesimo trattato che, com’è puntualmente avvenuto negli ultimi venticinque anni con ogni altro trattato ratificato da questo Paese, avrebbe provveduto a legare mani e piedi l’Italia, tramite il ricorso all’ormai famigerato vincolo esterno, ad uno specifico approccio concernente la cronica emergenza migratoria e fondato sulla previsione di appositi parametri nelle politiche dell’accoglienza che avrebbero pregiudicato in futuro l’esercizio di qualunque opzione esulante dalle disposizioni concordate nell’ambito della dialettica istituzionale, espressa nel perimetro interno ai diversi organismi costituenti le Nazioni Unite, e contenute nel trattato medesimo: il Global Compact esemplifica, infatti, quanto avvenuto alle Nazioni Unite da circa un ventennio a questa parte, laddove esso coincide con una delle massime priorità sollecitate ai massimi livelli dai fautori dell’agenda globalista, vale a dire la necessità di promuovere ingenti e costanti flussi migratori, visti dall’elites dominanti quale strumento idoneo a contribuire al conseguimento degli obiettivi complessivi perseguiti mediante il cosiddetto Great Reset e consistenti nella dissoluzione delle singole entità statuali, nella cancellazione di una cellula indispensabile della collettività quale la famiglia, nella disintegrazione sociale degli individui e nello smantellamento in generale di tutti i cardini tradizionali di ogni organizzazione umana dall’alba dei tempi.

In breve, l’opinione pubblica internazionale ha assistito alla derubricazione di quello che, nell’utopia di Aristide Briand, avrebbe dovuto assicurare ai popoli della Terra un mondo fondato sul dialogo, sulla giustizia, sulla pacifica coesistenza tra Nazioni e sullo sviluppo non conflittuale delle singole economie nazionali - in poche parole del governo mondiale del Pianeta da promuovere con il progressivo dispiegamento delle capacità degli Stati più importanti nel concerto internazionale posti  al servizio dell’allora inedito organismo all’uopo concepito ossia appunto le Nazioni Unite – in una sorta di ufficio per la supervisione e attuazione del programma mondialista e globalista; del resto, non latitano in proposito le conferme, laddove basti osservare quelle che hanno rappresentato e rappresentano le priorità dell’ONU in una rapido excursus storico: tralasciando la questione migratoria, che ormai fa periodicamente capolino nei dibattiti interni ONU, si possono menzionare gli sforzi profusi in merito alla vexata quaestio del climate change, con sollecitazioni, moral suasions, inviti alternati a pubblici biasimi nei confronti di quei Paesi, inclusi sovente anche taluni grandi player globali, che denuncino una strisciante riluttanza a conformare la propria azione di governo agli incipit provenienti dal Palazzo di Vetro a New York. Oppure si potrebbe far riferimento al delicatissimo tema dell’accesso a Internet, teoricamente concesso all’intera platea degli esseri umani che popolano il Pianeta, ma il cui dibattito è appannaggio di una ristretta cerchia di soggetti concretamente in grado di far valere le proprie posizioni nella fondamentale discussione tesa a suffragare la creazione dei nuovi territori digitali che avrebbero dovuto sovrapporsi ai territori fisici, così da garantire l’osservanza delle regole anzitutto costituzionali vigenti all’interno dei singoli Stati nazionali, cosa che invece non è affatto avvenuta, come drammaticamente attestato dalla censura dilagante nella rete a livello mondiale; evitiamo poi di soffermarci su quanto sta avvenendo nel mondo negli ultimi diciotto mesi a causa del COVID - 19 e delle correlate iniziative poste in essere sulla questione da parte dell’OMS. Dunque, si è in presenza di una nuova ONU, trasformata in un’organizzazione preposta alle pubbliche relazioni di quei poteri più o meno visibili che esercitano un peso preponderante nella gestione della dinamica planetaria.

A ben guardare, non si tratta di un esito sconosciuto ai vertici delle Nazioni Unite, che tante volte in passato hanno adeguato la propria natura e la propria mission alle contingenti necessità dettate dalle circostanze storico-politiche e, quindi, anche nei decenni vissuti nel ventesimo secolo, l’ONU si è adattata alle situazioni più disparate, seppure sempre in aderenza a due principi inderogabili, vale a dire, da un lato, la legittimazione della leadership delle Potenze dominanti nell’ambito mondiale, e quindi in particolare, prima della caduta del Muro di Berlino, di USA e URSS; dall’altro, l’implicita accettazione di un concetto eterogeneo e non precostituito di democrazia, che dunque poteva differire da Nazione a Nazione, prescindendo dalla superiorità di un genere di democrazia nei confronti di un altro genere della stessa, in un approccio, per così dire, “alla Montesquieu”: pur nel confronto teso e anzi non di rado pregno di un’intrinseca ruvidità che contraddistingueva la contrapposizione Est-Ovest, il faro che illuminava il sentiero percorso dalle Nazioni Unite rimaneva inscalfibile quella sorta di costituzione di cui seppe dotarsi l’ONU subito dopo la fine del secondo conflitto mondiale, ossia la Carta dei Diritti dell’Uomo, testo fondamentale che costituisce il naturale punto di riferimento non soltanto per l’Assemblea Generale a New York, ma anche individualmente per ogni persona mossa da sincero spirito democratico. Tuttavia, la deriva denunciata oggi dalle Nazioni Unite assume contorni inediti e velatamente inquietanti e ce ne accorgiamo in concreto partendo dalle questioni summenzionate: sul climate change, indipendentemente da quelli che sono gli orientamenti personali che ciascuno di noi sull’argomento, si è assistito ad un graduale e inesorabile appiattimento degli organismi del Palazzo di Vetro alla grancassa dei “professionisti dell’allarme climatico” alimentato da un mondo variopinto che spazia dal movimento delle Sardine in Italia per arrivare alle celebrità hoolywoodiane sempre zelanti nei riguardi di quegli apparati economici che generosamente finanziano loro e le loro relative carriere; in sostanza, un mondo eterodiretto da quella esigua oligarchia dominante a livello mondiale e mossa da un complesso di finalità miranti alla definizione di nuovi equilibri geopolitici globali, alla necessità di cogliere le formidabili opportunità economiche offerte dal “dovere di salvare il Pianeta” fino alla prospettiva di una generale riorganizzazione della società, includendovi il numero totale delle persone che sul Pianeta stesso dovranno vivere. Le conseguenze di tutto questo non stanno affatto tardando a manifestarsi nelle vite quotidiane anche dei cittadini italiani: proprio in questi giorni, gli organi di informazione hanno reso edotta la popolazione dei nuovi ambiziosi (sic) obiettivi stabiliti dall’UE in materia di contrasto al cambiamento climatico mediante la previsione di un’elevata tassazione verso tutte quelle importazioni a breve segnate dal tracciamento del relativo consumo di combustili fossili nella loro produzione con il conseguente rischio di un aggravio fiscale sulle tasche dei contribuenti di proporzioni inaudite.

Per quanto concerne le altre due tematiche sollevate in precedenza, per ragioni di brevità chi scrive si limita a rilevare come, in merito alla questione dell’accesso a Internet, la trattazione della materia sia stata affidata, al termine di lunghe controversie e infinite discussioni sull’argomento, a figure quali Melinda Gates e Jack Ma: non servono ulteriori commenti! L’introduzione del cosiddetto Green Pass illustra in maniera fin troppo esauriente quanto succede invece nella gestione dell’emergenza sanitaria con sullo sfondo la benedizione dell’OMS.

  Giunti a questo punto è intuibile che il lettore si stia ponendo un’ovvia domanda e cioè come sia stato possibile arrivare a questa situazione: potremmo sinteticamente parlare di istinto di autoconservazione. Una volta terminato il confronto USA-URSS, l’ONU ha dovuto, in una qualche misura, reinventare la propria ragion d’essere che è stata rapidamente individuata nelle molteplici emergenze che attanagliano l’umanità già da prima della fondazione dell’ONU stessa, come la fame nel mondo o lo sviluppo dei Paesi economicamente arretrati; tuttavia, tale florilegio di nuove missioni ha prodotto un duplice nefasto effetto, dato che da un lato esso ha condotto ad una vera e propria ipertrofia burocratica che ha visto la proliferazione di poltrone, incarichi, strutture ed una complessiva lievitazione dei costi economici. Dall’altro, subentrò ineludibilmente l’esigenza di procacciare nuovi finanziamenti indispensabili a seguito della bulimia istituzionale registrata nel Palazzo di Vetro e non facile da risolvere a mano a mano che nel mondo occidentale si andava affermando la concezione neoliberista con annessa austerity che vincolava gli Stati del cosiddetto mondo libero a crescenti tagli di bilancio; in definitiva, il combinato disposto di tali situazioni ha finito col porre l’ONU tra le fauci del Deep State e dell’immenso potere finanziario al quale quest’ultimo può attingere in considerazione dei suoi intrecci con il grande capitale internazionale: le conseguenze di questo grande cambiamento iniziano a essere tangibili già a partire dal 2003, quando l’allora Segretario Generale ONU Kofi Annan introduce il dibattito su una nuova concezione delle Nazioni Unite, sebbene sia poi soltanto nel lustro intercorso fra il 2005 e il 2010 che si delinea, con Ban Ki Moon, il nuovo assetto di potere. In particolare, il Segretario Generale originario della Corea del Sud suggerisce un approccio basato sulla previsione che l’ONU debba trascendere il tradizionale consesso di Nazioni, spericolatamente giudicato obsoleto e autoreferenziale, ma possa piuttosto aprirsi a nuovi interlocutori istituzionali appositamente individuati nei cosiddetti stakeholder: e chi sono quest’ultimi? Ban Ki Moon promosse tre categorie, che annoverano, a fianco dei governi, anche le grandi imprese economiche nonché quella che all’epoca fu definita la “società civile”, identificata nelle Ong che a loro volta sono finanziate dalle imprese e dagli Stati, con tutte le contraddizioni che una simile commistione comporta. Il risultato di questa colossale innovazione, con la contestuale dipendenza economica degli organismi ONU dalle prebende di soggetti di volta in volta interessati a contingenti tematiche, sostanzialmente passata sotto silenzio all’epoca in cui essa fu concepita e avallata, appare oggi in tutta la sua evidenza, laddove le Nazioni Unite esprimono ormai un complesso valoriale da cui emerge la tendenza ad un clamoroso quanto doloroso azzeramento della Carta dei Diritti dell’Uomo, completamente soppiantata dallo stakeholder’s system con ripercussioni di una gravità assoluta: l’ultimo esempio ci è stato, infatti, fornito proprio in questi giorni ancora una volta dall’ineffabile UNHCR, il succitato organismo che promuove la protezione dei rifugiati, quando quest’ultimo ha pubblicato su un social media la fotografia di una signora coinvolta nelle manifestazioni popolari a Cuba spacciandola come simbolo della lotta per l’emancipazione della Nazione caraibica dal regime comunista; peccato che la signora che compare nell’immagine in questione ritragga una partecipante ad una manifestazione filogovernativa la quale non ha mancato di denunciare l’episodio in uno dei commenti relativi alla fotografia stessa, diffidando legalmente l’UNHCR qualora non avesse provveduto a comunicare e correggere l’errore commesso. Dietro quella che si potrebbe considerare alla stregua di una gaffe, traspare invece la deriva che sottende alla nuova politica ONU, riconfermata da numerosi precedenti; in tal modo, si assiste sconcertati alle relazioni, redatte dall’ex premier cileno Michelle Bachelet nel suo nuovo ruolo di Alto Commissario per i Diritti Umani, in cui si denunciano le repressioni attuate  in Venezuela, Cuba e Nicaragua – Paesi recentemente protagonisti, seppure in momenti differenti, di tentativi di «rivoluzioni colorate» - mentre la stessa sottace  sulle violenze massicce e indiscriminate perpetrate da polizia ed esercito in Stati quali Ecuador, Cile e Colombia, nei confronti di migliaia di persone scese in piazza per reclamare condizioni di vita migliori ed il ripristino di una minima agibilità politica nei rispettivi agoni pubblici nazionali: si tratta di uno strabismo che, oltre a rappresentare il paradigma del cosiddetto  doppio standard tante volte osservato a livello globale, segnala il definitivo sdoganamento, in ambito ONU, dell’identificazione del concetto di democrazia con la liberaldemocrazia, quale unica forma di governo legittima nel consesso delle Nazioni “libere”, nonostante l’affermazione nel mondo attuale di un nuovo multilateralismo (Unilateralismo vs Multilateralismo su questo blog). Oppure vediamo in giro per il mondo residuati di antiche stagioni politiche che hanno compiuto crimini contro l’umanità, provocando, con le loro azioni, conseguenze dirette e indirette costate milioni di vittime in Medio Oriente e non solo onde scongiurare l’utilizzo di armi di distruzione di massa e promuovere “l’esportazione della democrazia” – antesignana del doppio standard attuale – intervenire nella politica internazionale, così da esercitarvi un peso determinante nella definizione della stessa; tutto questo mentre le istanze di diversi leader africani, che sollecitano un’indagine internazionale volta ad appurare la verità sulle ragioni per le quali parte della popolazione femminile delle proprie Nazioni sia divenuta sterile a seguito di trattamenti sanitari umanitari accordati dalla Bill and Melinda Gates Foundation, non riescono a trovare favorevole accoglimento in sede di Nazioni Unite. E nel frattempo l’OMS, per mesi del tutto soggiacente alla retorica del virus di origine naturale, ora guarda con favore all’instaurazione di un’inchiesta che suffraghi l’ipotesi di una fuoriuscita dal laboratorio di Wuhan; ma questa è la nuova ONU, sempre a disposizione. Del miglior offerente.


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