Perchè è possibile un'invasione cinese di Taiwan
Di: Giuseppe Farina
A suggerire
l’esigenza di fare chiarezza in merito alla posizione che gli Stati Uniti
dovrebbero assumere hanno certo contribuito le recenti dinamiche intervenute
negli ultimi mesi nonché, ancor di più se possibile, le numerose dichiarazioni
rilasciate dai massimi protagonisti della politica mondiale: in proposito, non
potevano non destare scalpore e preoccupazione, facendo altresì luce sul
rinnovato approccio della Repubblica Popolare Cinese, le considerazioni esposte
dal Presidente cinese XiJinping il quale, in un’intervista fornita al
quotidiano del PCC in lingua inglese Global Times – House Organ del Partito per
promuovere la diffusione capillare dell’orientamento politico cinese all’estero
– ha parlato del dovere morale da parte della PLA di essere in condizione, in
qualunque momento, di sostenere il peso di una guerra e del contestuale impegno
soprattutto morale a combattere contro i nemici del Paese.
Nell’esposizione
di queste considerazioni, bisogna comprendere i mutamenti intervenuti fra i due
opposti schieramenti che si sono puntualmente confrontati nel corso del tempo,
vale a dire quello americano e quello cinese: in particolare, vale la pena
notare come dal termine del Secondo conflitto mondiale ad oggi, gli USA si
fossero sempre premuniti di prescindere da qualunque indicazione relativa alla
soglia oltre la quale le truppe statunitensi si sarebbero mosse a salvaguardia
di quella che Pechino considera la “provincia ribelle”; dunque, questo margine
di ambiguità da parte degli USA – una sorta di vera e propria ostentazione muscolare che esprimeva la
sicurezza americana in un atteggiamento proseguito quasi fino ai giorni nostri
- era sempre stato ritenuto possibile tale era la supremazia bellica statunitense
da consentire grande duttilità nell’approccio alla questione e costituiva
un’oggettiva dimostrazione della superiorità sul campo da parte americana. Tuttavia,
oggi la situazione appare drasticamente mutata: la tumultuosa espansione
economica cinese non poteva non coincidere anche con straordinari progressi nel
contesto della tecnologia bellica e la PLA vanta attualmente armamenti
particolarmente avanzati che hanno spostato i già precari equilibri tattici che
si contrappongono; in particolare, la Cina ha registrato formidabili balzi in
avanti nella progettazione e produzione di tutta una nuova serie di missili
ipersonici, parallelamente a quanto posto in essere dalla Federazione russa,
trattandosi peraltro di un ambito in cui gli Stati Uniti hanno denunciato
l’accumulo di un grave gap che progressivamente si sta cercando di colmare.
Tale gap ha prodotto i propri effetti anche in relazione alle notevoli tensioni
regionali che riguardano Taiwan: nello specifico, per la prima volta, la Marina
Militare USA ha dovuto procedere ad un congruo allontanamento delle proprie
unità da battaglia– considerate
quest’ultime da sempre pilastro in un’eventuale difesa statunitense promossa a
seguito di un’aggressione della PLA – dalle coste di Formosa onde
poterle sottrarre alla capacità balistica dei nuovi missili cinesi dovendo esse
prescindere al momento dalla protezione concessa da un efficace apparato di
intercettazione antiaerea. Questa
mossa, se da un lato salvaguarda la protezione delle portaerei americani da
potenziali attacchi devastanti, dall’altro pregiudica quasi del tutto
l’incisiva azione difensiva che esse dovrebbero porre in essere allorquando
Taiwan dovesse invocare il loro intervento; dunque, la consapevolezza dei
mutati rapporti fra gli schieramenti in campo ha costretto gli USA a
manifestare un inedito approccio nella questione dell’impiego delle proprie
unità, qualora chiamate a fornire supporto a tutela della “Provincia ribelle”:
per la prima volta da quando sussiste il confronto tra USA e Cina in tale
disputa regionale, fra le altre, Washington è stata costretta a enunciare la
propria dottrina e a indicare con chiarezza il momento in cui le truppe
americane muoveranno a difesa del proprio alleato. Com’è intrinsecamente
evidente, al di là dell’avviso che si vuole rivolgere a Pechino, la nuova
postura degli USA si qualifica come un inequivocabile segno di debolezza come
tale peraltro percepito da tutti i protagonisti del confronto; a conferma delle
differenti percezioni nell’area da parte dei contrapposti protagonisti nonché a
riprova anche della volontà del governo cinese di voler declinare i nuovi
rapporti di forza mediante un approccio quanto meno più risoluto alla questione,
esattamente in questi ultimi giorni Pechino ha concesso la più ampia
dimostrazione delle proprie potenzialità aeree che si sia mai vista,
allorquando almeno venti velivoli militari hanno penetrato nella cosiddetta Adiz
ossia nella Air Defense Identification Zone. Si è trattata senz’altro della
manovra più imponente mai registrata da parte di aerei della Repubblica
Popolare Cinese, tenendo conto di tipologia, numero e rotta dei velivoli;
quindi, in tale situazione l’opinione pubblica internazionale assiste a una
situazione inedita che espone l’isola a evoluzioni imprevedibili.
Tuttavia queste non rappresentano le uniche considerazioni da tenere in
conto nelle circostanze del momento: se la situazione sul campo da un lato
appare oggi ben definita, dall’altro bisogna rivolgere lo sguardoad un quadro
geopolitico poliedrico pregno di novità rilevanti chehanno condotto a
contrapposizioni potenzialmente gravide di pericolose conseguenze non soltanto
per gli equilibri regionali ma anche per la stabilità a livello globale.
Il quadro testé descritto, che deve essere tenuto nella debita
considerazione dalla comunità internazionale nonché dalle Nazioni Unite, seppur
rimanendo nel solco di una politica da sempre perseguita dal governo di
Pechino, che ha sempre risolutamente messo in luce la propria intenzione di
pervenire al recupero della propria sovranità nazionale nei confronti di
Formosa, ha registrato ulteriori dinamiche
che potrebbero notevolmente contribuire a imprimere un’accelerazione al
processo di ripristino della propria supremazia territoriale da parte di
Pechino in relazione a Taiwan: all’interno della contesa geopolitica tra USA e
Repubblica Popolare Cinese, divampa da non molto tempo una recente guerra
sotterranea che potrebbe segnare una svolta decisiva nella competizione fra le
grandi Potenze globali, vale a dire la lotta nell’accaparramento di un bene
divenuto imprescindibile nelle produzioni strategiche dei grandi players
globali come quella rappresentata dall’approvvigionamento di semiconduttori. La
recente carenza registrata nella filiera planetaria delle forniture relative ai
chip dall’inizio dell’anno ha già provocato una serie di vittime eccellenti, a
partire dall’industria automobilistica con General Motors che nel mese di
febbraio ha pubblicamente ammesso che i ritardi concernenti la disponibilità di
questo prezioso assett avrebbe comportato un impatto sulla produzione con
riflessi spalmati lungo l’intero 2021; tuttavia, com’è ovvio, sarà l’output
manifatturiero a scontare nella sua complessità gli effetti sortiti dalla
penuria nel comparto dei semiconduttori e allorquando si parla di manifattura
si deve necessariamente tenere conto principalmente di quella che si avvia a
essere la maggiore economia del Pianeta, ossia quella cinese: Pechino, negli
ultimi mesi, ha dimostrato di temere non poco le conseguenze che
implicherebbero eventuali criticità nelle forniture di chip ed ha assunto una
postura improntata a grande aggressività laddove ci sia in gioco la leadership
in tale ambito, circostanza quest’ultima che ha condotto a un mix
potenzialmente micidiale se si tiene in debita considerazione quanto
summenzionato nell’evoluzione delle tecnologie belliche fra Washington e
Pechino.
Da questo punto di vista, la carenza di chip va ad aggravare un quadro
già carico di suo, poiché Taiwan, tra i molti pregi osservati dalla Repubblica
Popolare Cinese, oltre a costituire un naturale trampolino di lancio in
funzione dei propri progetti inerenti la Via della Seta nel contesto marittimo,
vanta come una delle proprie caratteristiche peculiari la disponibilità della
più importante industria a livello mondiale nella produzione di semiconduttori;
dunque, la crisi in atto in questo comparto rischia concretamente di andare ad
aggravare le tensioni preesistenti nell’area e vieppiù di indurre il governo
cinese a individuare nella situazione attuale un’occasione forse irripetibile
per cogliere una doppia opportunità: da un lato, sfruttare a proprio vantaggio
l’allontanamento delle portaerei americane da Formosa che denunciano l’arretramento
USA nella difesa di Taiwan così da concedere alla PLA per la prima volta dalla
fine del secondo conflitto mondiale la prospettiva realistica di un ripristino
coercitivo della sovranità cinese sulla “Provincia ribelle”; dall’altro,
assestare al competitor globale americano una legnata da cui difficilmente gli
Stati Uniti sarebbero in grado di recuperare, almeno in tempi brevi. Del resto,
bisogna osservare come il quadro mondiale stia rapidamente mutando: fino al
2016 la Cina ha sempre tentato di perseguire l’attuazione di una politica
cosiddetta win-win, ossia una politica che assicurasse vantaggi reciproci a
tutti quegli attori internazionali con cui stipulasse accordi di vario genere,
ma la rivalità geopolitica ha ormai segnato una svolta introdotta anche
mediante il “Green new deal”, laddove le Potenze occidentali, allo scopo o
forse con la scusa di incentivare l’avvento di un nuovo e consolidato corso
ecologista in ambito planetario, prevedono l’introduzione di dazi doganali – in
primis certamente con la previsione del cosiddetto “Carbon Adjustment Fee”
di cui il Presidente USA Biden ha fatto esplicita menzione nel proprio
programma elettorale - nei confronti di quei Paesi che non promuovano
un’adesione reputata sufficiente a questo inedito corso mondiale, tanto da
condurre a pesanti penalizzazioni nei volumi di export nei confronti di quelle
Nazioni che decidano di prescindere dall’adozione delle mis
ure relative
all’implementazione della svolta ecologista; pertanto, al di là della
sbandierata novità ambientalista nonché dei numerosi rischi annessi che comporterebbero
per l’Occidente la prospettiva di doversi accollare costi enormi posti a carico
esclusivamente di imprese americane e europee, gli effetti prodotti da questo nuovo
corso assumeranno una valenza anzitutto economica e quindi geopolitica tale da
rappresentare una minaccia verso l’export cinese con risvolti di cui gli USA
non hanno tardato a essere latori. Il “Green new deal” può, in definitiva,
costituire quel cambiamento che potrebbe indurre la Cina a dismettere
l’approccio win-win e dunque a scegliere una strada segnata da una maggiore
aggressività internazionale finanche a ricomprendere l’eventualità di
un’invasione di Taiwan modificando tutti i parametri di
politica mondiale fino ad oggi conosciuti.


Eccellente Articolo sui contrasti irrisolti presenti in quella sensibile area geografica tra Guam, Taiwan e Vietnam, definita come un giardino pieno di spine nel grande cortile di casa di Pechino.
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