Perchè è possibile un'invasione cinese di Taiwan

 

 Di: Giuseppe Farina

30 Aprile 2021

 Piattaforme per il commercio elettronico, industrie leader nell’ambito tecnologico, siderurgia ma anche vaste risorse naturalistiche: l’isola di Formosa, meglio nota oggi a livello internazionale con il nome di Taiwan, rappresenta tutto questo ma se nel dibattito internazionale, nell’attuale periodo storico, lo Stato con capitale Taipei ricorre con grande frequenza lo si deve essenzialmente alle notevoli turbolenze legate a quanto sta avvenendo nello scenario del Mar Cinese Meridionale: sebbene si tratti, infatti, di una prospettiva per nulla inedita nel contesto geopolitico internazionale, i timori circa uno sviluppo avente natura bellica nel Sud-Est asiatico sono riesplosi in tutto il loro fragore negli ultimi anni, laddove è stato concretamente possibile cogliere i numerosi indizi in grado di suffragare l’ipotesi succitata; del resto,  questi segnali di allarme sono stati ben colti anche presso Taipei. In un recente intervento promosso verso la fine dello scorso anno, l’Ufficio di Rappresentanza di Taiwan a Washington D.C., sorta – quest’ultima – di spin-off dell’Ambasciata del Governo di Formosa, ha formalmente sollecitato il Dipartimento di Stato americano a porre fine all’atteggiamento equivoco tenuto dagli USA ormai dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, così da rompere gli indugi e lanciare un preciso monito all’indirizzo di Pechino.

A suggerire l’esigenza di fare chiarezza in merito alla posizione che gli Stati Uniti dovrebbero assumere hanno certo contribuito le recenti dinamiche intervenute negli ultimi mesi nonché, ancor di più se possibile, le numerose dichiarazioni rilasciate dai massimi protagonisti della politica mondiale: in proposito, non potevano non destare scalpore e preoccupazione, facendo altresì luce sul rinnovato approccio della Repubblica Popolare Cinese, le considerazioni esposte dal Presidente cinese XiJinping il quale, in un’intervista fornita al quotidiano del PCC in lingua inglese Global Times – House Organ del Partito per promuovere la diffusione capillare dell’orientamento politico cinese all’estero – ha parlato del dovere morale da parte della PLA di essere in condizione, in qualunque momento, di sostenere il peso di una guerra e del contestuale impegno soprattutto morale a combattere contro i nemici del Paese.

Nell’esposizione di queste considerazioni, bisogna comprendere i mutamenti intervenuti fra i due opposti schieramenti che si sono puntualmente confrontati nel corso del tempo, vale a dire quello americano e quello cinese: in particolare, vale la pena notare come dal termine del Secondo conflitto mondiale ad oggi, gli USA si fossero sempre premuniti di prescindere da qualunque indicazione relativa alla soglia oltre la quale le truppe statunitensi si sarebbero mosse a salvaguardia di quella che Pechino considera la “provincia ribelle”; dunque, questo margine di ambiguità da parte degli USA – una sorta di vera e propria ostentazione muscolare che esprimeva la sicurezza americana in un atteggiamento proseguito quasi fino ai giorni nostri - era sempre stato ritenuto possibile tale era la supremazia bellica statunitense da consentire grande duttilità nell’approccio alla questione e costituiva un’oggettiva dimostrazione della superiorità sul campo da parte americana. Tuttavia, oggi la situazione appare drasticamente mutata: la tumultuosa espansione economica cinese non poteva non coincidere anche con straordinari progressi nel contesto della tecnologia bellica e la PLA vanta attualmente armamenti particolarmente avanzati che hanno spostato i già precari equilibri tattici che si contrappongono; in particolare, la Cina ha registrato formidabili balzi in avanti nella progettazione e produzione di tutta una nuova serie di missili ipersonici, parallelamente a quanto posto in essere dalla Federazione russa, trattandosi peraltro di un ambito in cui gli Stati Uniti hanno denunciato l’accumulo di un grave gap che progressivamente si sta cercando di colmare. Tale gap ha prodotto i propri effetti anche in relazione alle notevoli tensioni regionali che riguardano Taiwan: nello specifico, per la prima volta, la Marina Militare USA ha dovuto procedere ad un congruo allontanamento delle proprie unità da battaglia– considerate quest’ultime da sempre pilastro in un’eventuale difesa statunitense promossa a seguito di un’aggressione della PLA – dalle coste di Formosa onde poterle sottrarre alla capacità balistica dei nuovi missili cinesi dovendo esse prescindere al momento dalla protezione concessa da un efficace apparato di intercettazione antiaerea. Questa mossa, se da un lato salvaguarda la protezione delle portaerei americani da potenziali attacchi devastanti, dall’altro pregiudica quasi del tutto l’incisiva azione difensiva che esse dovrebbero porre in essere allorquando Taiwan dovesse invocare il loro intervento; dunque, la consapevolezza dei mutati rapporti fra gli schieramenti in campo ha costretto gli USA a manifestare un inedito approccio nella questione dell’impiego delle proprie unità, qualora chiamate a fornire supporto a tutela della “Provincia ribelle”: per la prima volta da quando sussiste il confronto tra USA e Cina in tale disputa regionale, fra le altre, Washington è stata costretta a enunciare la propria dottrina e a indicare con chiarezza il momento in cui le truppe americane muoveranno a difesa del proprio alleato. Com’è intrinsecamente evidente, al di là dell’avviso che si vuole rivolgere a Pechino, la nuova postura degli USA si qualifica come un inequivocabile segno di debolezza come tale peraltro percepito da tutti i protagonisti del confronto; a conferma delle differenti percezioni nell’area da parte dei contrapposti protagonisti nonché a riprova anche della volontà del governo cinese di voler declinare i nuovi rapporti di forza mediante un approccio quanto meno più risoluto alla questione, esattamente in questi ultimi giorni Pechino ha concesso la più ampia dimostrazione delle proprie potenzialità aeree che si sia mai vista, allorquando almeno venti velivoli militari hanno penetrato nella cosiddetta Adiz ossia nella Air Defense Identification Zone. Si è trattata senz’altro della manovra più imponente mai registrata da parte di aerei della Repubblica Popolare Cinese, tenendo conto di tipologia, numero e rotta dei velivoli; quindi, in tale situazione l’opinione pubblica internazionale assiste a una situazione inedita che espone l’isola a evoluzioni imprevedibili.

Tuttavia queste non rappresentano le uniche considerazioni da tenere in conto nelle circostanze del momento: se la situazione sul campo da un lato appare oggi ben definita, dall’altro bisogna rivolgere lo sguardoad un quadro geopolitico poliedrico pregno di novità rilevanti chehanno condotto a contrapposizioni potenzialmente gravide di pericolose conseguenze non soltanto per gli equilibri regionali ma anche per la stabilità a livello globale.

Il quadro testé descritto, che deve essere tenuto nella debita considerazione dalla comunità internazionale nonché dalle Nazioni Unite, seppur rimanendo nel solco di una politica da sempre perseguita dal governo di Pechino, che ha sempre risolutamente messo in luce la propria intenzione di pervenire al recupero della propria sovranità nazionale nei confronti di Formosa, ha registrato  ulteriori dinamiche che potrebbero notevolmente contribuire a imprimere un’accelerazione al processo di ripristino della propria supremazia territoriale da parte di Pechino in relazione a Taiwan: all’interno della contesa geopolitica tra USA e Repubblica Popolare Cinese, divampa da non molto tempo una recente guerra sotterranea che potrebbe segnare una svolta decisiva nella competizione fra le grandi Potenze globali, vale a dire la lotta nell’accaparramento di un bene divenuto imprescindibile nelle produzioni strategiche dei grandi players globali come quella rappresentata dall’approvvigionamento di semiconduttori. La recente carenza registrata nella filiera planetaria delle forniture relative ai chip dall’inizio dell’anno ha già provocato una serie di vittime eccellenti, a partire dall’industria automobilistica con General Motors che nel mese di febbraio ha pubblicamente ammesso che i ritardi concernenti la disponibilità di questo prezioso assett avrebbe comportato un impatto sulla produzione con riflessi spalmati lungo l’intero 2021; tuttavia, com’è ovvio, sarà l’output manifatturiero a scontare nella sua complessità gli effetti sortiti dalla penuria nel comparto dei semiconduttori e allorquando si parla di manifattura si deve necessariamente tenere conto principalmente di quella che si avvia a essere la maggiore economia del Pianeta, ossia quella cinese: Pechino, negli ultimi mesi, ha dimostrato di temere non poco le conseguenze che implicherebbero eventuali criticità nelle forniture di chip ed ha assunto una postura improntata a grande aggressività laddove ci sia in gioco la leadership in tale ambito, circostanza quest’ultima che ha condotto a un mix potenzialmente micidiale se si tiene in debita considerazione quanto summenzionato nell’evoluzione delle tecnologie belliche fra Washington e Pechino.

Da questo punto di vista, la carenza di chip va ad aggravare un quadro già carico di suo, poiché Taiwan, tra i molti pregi osservati dalla Repubblica Popolare Cinese, oltre a costituire un naturale trampolino di lancio in funzione dei propri progetti inerenti la Via della Seta nel contesto marittimo, vanta come una delle proprie caratteristiche peculiari la disponibilità della più importante industria a livello mondiale nella produzione di semiconduttori; dunque, la crisi in atto in questo comparto rischia concretamente di andare ad aggravare le tensioni preesistenti nell’area e vieppiù di indurre il governo cinese a individuare nella situazione attuale un’occasione forse irripetibile per cogliere una doppia opportunità: da un lato, sfruttare a proprio vantaggio l’allontanamento delle portaerei americane da Formosa che denunciano l’arretramento USA nella difesa di Taiwan così da concedere alla PLA per la prima volta dalla fine del secondo conflitto mondiale la prospettiva realistica di un ripristino coercitivo della sovranità cinese sulla “Provincia ribelle”; dall’altro, assestare al competitor globale americano una legnata da cui difficilmente gli Stati Uniti sarebbero in grado di recuperare, almeno in tempi brevi. Del resto, bisogna osservare come il quadro mondiale stia rapidamente mutando: fino al 2016 la Cina ha sempre tentato di perseguire l’attuazione di una politica cosiddetta win-win, ossia una politica che assicurasse vantaggi reciproci a tutti quegli attori internazionali con cui stipulasse accordi di vario genere, ma la rivalità geopolitica ha ormai segnato una svolta introdotta anche mediante il “Green new deal”, laddove le Potenze occidentali, allo scopo o forse con la scusa di incentivare l’avvento di un nuovo e consolidato corso ecologista in ambito planetario, prevedono l’introduzione di dazi doganali – in primis certamente con la previsione del cosiddetto “Carbon Adjustment Fee” di cui il Presidente USA Biden ha fatto esplicita menzione nel proprio programma elettorale - nei confronti di quei Paesi che non promuovano un’adesione reputata sufficiente a questo inedito corso mondiale, tanto da condurre a pesanti penalizzazioni nei volumi di export nei confronti di quelle Nazioni che decidano di prescindere dall’adozione delle mis
ure relative all’implementazione della svolta ecologista; pertanto, al di là della sbandierata novità ambientalista nonché dei numerosi rischi annessi che comporterebbero per l’Occidente la prospettiva di doversi accollare costi enormi posti a carico esclusivamente di imprese americane e europee, gli effetti prodotti da questo nuovo corso assumeranno una valenza anzitutto economica e quindi geopolitica tale da rappresentare una minaccia verso l’export cinese con risvolti di cui gli USA non hanno tardato a essere latori. Il “Green new deal” può, in definitiva, costituire quel cambiamento che potrebbe indurre la Cina a dismettere l’approccio win-win e dunque a scegliere una strada segnata da una maggiore aggressività internazionale finanche a ricomprendere l’eventualità di un’invasione di Taiwan modificando tutti i parametri di politica mondiale fino ad oggi conosciuti.


                                                                        

Commenti

  1. Eccellente Articolo sui contrasti irrisolti presenti in quella sensibile area geografica tra Guam, Taiwan e Vietnam, definita come un giardino pieno di spine nel grande cortile di casa di Pechino.

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